RITENUTO IN FATTO
1. - ****** è stato colpito da due ordinanze coercitive emesse dal G.i.p. di Palermo in distinti procedimenti: - la prima del 23/3/2005, a seguito dell'arresto in flagranza avvenuto il 21/3/2005, per illecita detenzione, in concorso con *****, di un ingente quantitativo pari a circa 200 kg. di hashish ex ara. 110 c.p., 73, commi 1 e 4 e 80, comma 2 d.P.R. n. 309 del 1990, reato per il quale è stato condannato con sentenza pronunciata, col rito abbreviato, dal G.u.p. di Palermo il 20/7/2005, confermata dalla Corte d'appello di Palermo il 24/2/2006 e divenuta irrevocabile U 7/3/2007 (Cass., Sez. VII, 7/3/2007 n. 20850), alla pena di anni tre di reclusione interamente espiata fino al 21/3/2008; - la seconda del 23/9/2008, per le imputazioni di partecipazione ad associazione finalizzata al commercio di sostanze stupefacenti del tipo hashish ex; art. 74 d.P.R. cit. e di acquisto, detenzione, trasporto e cessione di ingenti partite delle medesime sostanze ex artt. 110 e 81 cpv. c.p., 73 e 80 comma 2 d.P.R. cit., nel periodo compreso fra gennaio e marzo 2005 e in occasioni diverse da quella già contestata del 21 / 3/2005; Il Tribunale di Palermo, con ordinanza del 26/11/2008, rigettava l'appello proposto da ***** (arrestato il 7/10/2008) avverso il provvedimento del G.i.p. reiettivo dell'istanza di scarcerazione per decorrenza dei termini di durata massima di fase della custodia cautelare applicata con la seconda ordinanza del 23/9/2008, sull'assorbente rilievo - ai fini della inoperatività della retrodatazione prevista dall'art. 297 comma 3 c.p.p. per i casi di contestazioni a catena - del difetto del presupposto della necessaria "coesistenza della pluralità delle misure": ciò per effetto del passaggio in giudicato della condanna in ordine al fatto contestato con il primo titolo custodíale, a prescindere da ogni verifica dell'asserita identità o connessione qualificata, per il profilo della continuazione o del nesso teleologico, esistente fra quel fatto, il delitto associativo e gli ulteriori reati-fine contestati con la seconda ordinanza cautelare. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, il quale ha ribadito la tesi della identità o connessione qualificata delle fattispecie contestate e comunque della piena conoscibilità e desumibilità, da parte della stessa autorità giudiziaria, dei fatti-reato di cui alla seconda ordinanza coercitiva già alla stregua degli elementi investigativi (intercettazioni telefoniche e ambientali, appostamenti su strada e sequestro di partite di stupefacenti) che avevano portato all'arresto e alla prima ordinanza coercitiva, alla data quindi del rinvio a giudizio per l'episodio di detenzione di 200 kg. di hashish del 21 marzo 2005, assumendo per contro l'irrilevanza della sopravvenuta, definitiva, condanna per questo fatto.
2. - La Quinta Sezione, con ordinanza del 13/2 - 3/3/2009, rilevata la pregiudizialità della questione relativa all'efficacia preclusiva, sulla richiesta retrodatazione dei termini della seconda ordinanza custodíale, del giudicato di condanna per il fatto di cui al primo titolo, intervenuto ancor prima dell'emissione della seconda ordinanza per altre fattispecie di reato e in un diverso procedimento davanti alla stessa autorità giudiziaria, ha osservato che sulla controversa questione persiste un radicato contrasto giurisprudenziale e ne ha rimesso la decisione alle Sezioni Unite, cui il ricorso è stato assegnato per l'odierna udienza in camera di consiglio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. - Occorre premettere che la norma dell'art. 297 comma 3 c.p.p., come sostituita dall'art. 12 della legge n. 332 del 1995, nel dilatare l'ambito oggettivo d'incidenza della disciplina della retrodatazione degli effetti della custodia cautelare nell'ipotesi di ed. "contestazioni a catena", già prevista dalla disposizione codicistica del 1988 per le sole ordinanze cautelari emesse per lo "stesso fatto', benché diversamente circostanziato o qualificato, stabilisce che lo speciale regime (secondo l'interpretazione che di esso hanno dato le Sezioni Unite con la sentenza 22/3/2005 n. 21957, P.M. in proc. Rahulia, rv. 231057-059) si applica anche alle ordinanze emesse nello "stesso procedimento" per "fatti diversi", sempre che: - questi siano stati commessi anteriormente all'emissione della prima ordinanza cautelare; - sussista la connessione qualificata, rappresentata dal concorso formale di reati, dal reato continuato e dalla connessione ed. esecutiva di cui all'art. 12 lett. b) o o1 c.p.p., e in tal caso essa opera automaticamente, cioè indipendentemente dalla possibilità di desumere dagli atti, al momento dell'emissione della prima ordinanza, l'esistenza dei fatti oggetto dell'ordinanza successiva e degli clementi idonei a giustificare le relative misure; - ovvero, nel caso in cui le ordinanze cautelari riguardino fatti tra i quali non sussiste la suddetta connessione, al momento dell'emissione della prima esistevano elementi idonei a giustificare le misure applicate con le ordinanze successive. Nel caso in cui più ordinanze cautelari siano adottate nei confronti di un imputato in "procedimenti diversi" per "fatti diversi, in relazione ai quali esiste una connessione qualificata, la retrodatazione opera altresì per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza. Le Sezioni Unite, con la successiva sentenza 19/12/2006 n. 14535/07, Librato, rv. 235909 (la cui soluzione è stata condivisa da C cost., ord. n. 445 del 2007), in coerenza col dictum della sentenza ablativa della Corte costituzionale n. 408 del 2005, hanno inoltre aggiunto che, nel caso in cui più ordinanze cautelari siano adottate nei confronti di un imputato in "procedimenti diversi" per "fatti diversi" tra i quali non sussiste la suddetta connessione, e però gli elementi giustificativi della seconda erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della prima, i termini della seconda ordinanza decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima, soltanto se i due procedimenti siano in corso davanti alla "stessa autorità giudiziaria" e la loro separazione sia stata frutto di una scelta, indebita e consapevole, del pubblico ministero. Al di fuori di ogni automatismo riacquista valore, in tal caso, il riferimento soggettivo, poiché i procedimenti avrebbero potuto essere riuniti e i provvedimenti coercitivi essere adottati in un unico contesto temporale. Hanno peraltro opportunamente osservato le Sezioni Unite nella più recente sentenza Librato (e il rilievo non appare trascurabile ai fini della soluzione dell'odierna questione) che "... Rispetto a una misura adottata in un altro procedimento l'effetto della retrodatazione sarebbe diverso, quello cioè di ridurne la possibile durata o addirittura di impedirla, mentre contemporaneamente la misura adottata nel primo procedimento, qualora i termini non fossero decorsi, potrebbe proseguire senza alcun prolungamento indebito. A ben vedere di retrodatazione si parla correttamente quando, essendo in corso l'esecuzione di una misura cautelare, sono emesse nello Stesso procedimento altre ordinanze e i termini si fanno decorrere dal momento in cui è iniziata l'esecuzione della misura, anziché, come prevede l'art. 297 comma 2 c.p.p., dal momento in cui è stata notificata la successiva ordinanza. Se invece i procedimenti sono diversi e i termini del secondo si fanno decorrere dall'inizio dell'esecuzione della misura adottata nel primo la situazione è diversa: la durata della misura disposta nel primo viene imputata al secondo (che in molti casi non era neppure iniziato), dando luogo a un fenomeno concettualmente differente da quello della retrodatazione, benché per consuetudine definito con lo stesso vocabolo
2. - Ciò posto, va rilevato in linea di fatto che le due ordinanze custodiali, nel caso in esame, sono state emesse dalla medesima autorità giudiziaria a carico dello stesso imputato e in procedimenti diversi, per fatti commessi antecedentemente alla prima misura, mentre il secondo provvedimento restrittivo è stato eseguito quando la pena inflitta con la sentenza definitiva di condanna per i fatti di cui alla prima ordinanza era già stata interamente espiata (in questa essendo stato computato il "presofferto") ed era stata pertanto disposta la scarcerazione dell'imputato. Di talché, il Tribunale del riesame non ha ritenuto di procedere al vaglio delle condizioni previste dall'art. 297, comma 3 c.p.p. (nella lettura che della norma è stata data - nei termini suindicati - dalla Corte costituzionale e dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione) per 'operatività della retrodatazione, in presenza di più ordinanze custodiali emesse dalla stessa autorità giudiziaria in procedimenti diversi a carico dello stesso imputato, sotto i distinti profili della identità o connessione qualificata dei fatti-reato contestati, dell'anteriorità dell'intera serie di condotte criminose rispetto alla prima misura cautelare e dell'anticipata desumibilità dagli atti del precedente procedimento degli elementi indiziari valorizzati con la seconda ordinanza, poiché ha attribuito pregiudiziale e assorbente rilievo, ai fini dell'affermata inoperatività del fenomeno della retrodatazione, alla circostanza del passaggio in giudicato della sentenza di condanna per il fatto contestato con il primo titolo custodiale e, addirittura, dell'avvenuta espiazione dell'intera pena detentiva inflitta con quella sentenza.
3. - Le Sezioni Unite sono chiamate, pertanto, a rispondere al quesito "se la disciplina, prevista dall’art. 297 comma 3 cp.p. in terra di c.d. contestazioni a catena, della retrodatazione dei termini di durata della custodia cautelare, relativi ad una misura disposta con ordinanza successiva, operi anche quando per i fatti di cui alla prima ordinanza, emessa in un diverso procedimento, l'imputato sia stato condannato con sentenza passata in giudicato (e, come nella specie, abbia espiato l'intera pena) ancor prima dell'adozione della seconda misura ". Sulla tematica relativa alla concreta applicabilità della disciplina della retrodatazione della custodia cautelare quando uno dei termini del raffronto, costituito dal primo titolo custodiale. sia venuto meno in forza del sopravvenuto giudicato sul merito dei fatti contestati con tale provvedimento restrittivo, si contrappongono due linee interpretative nella giurisprudenza di legittimità, che possono così sintetizzarsi. 3.1. - Secondo un primo, minoritario, orientamento (Cass., Sez. VI, 30/9/2005 n.39260, Bonura e Sez. VI, 2/4/2007 n. 18305, Panino, rv. 236505, cui si sono riportate: Sez. VI, 21/9/2007 n. 37554, Desiderato; Sez. VI, 4/10/2007 n. 45306, Piemo, rv. 238232; Sez. VI, 15/11/2007 n. 8730/08, Baccaglili, rv. 239452; Sez. VI, 21/1/2008 n. 8746, Rizzello; Sez. VI, 18/6/2008 n. 31825, Molluso; Sez. VI, 9/7/2008 n. 31869, Vaglio; Sez. VI, 24/9/2008 n. 38852, Amato, rv. 241406), la disposizione dell'art. 297, comma 3 c.p.p. non richiede che nel momento in cui è adottata la seconda ordinanza cautelare sia ancora in corso di esecuzione la prima e non sia stato definito il relativo procedimento, poiché - richiamandosi sul punto C cost., n. 405/08 - "l'identico regime di garanzia dovrà operare per tutti i casi in cui, pur potendo i diversi provvedimenti coercitivi essere adottati in unico contesto temporale, per qualsiasi causa l'autorità giudiziaria abbia invece prescelto momenti diversi per l'adozione delle singole ordinanze". Di talché, in funzione della ratio di garanzia dell'istituto, le sorti del primo procedimento, e financo la pronuncia all'esito del giudizio di cognizione di una sentenza di merito divenuta irrevocabile, non sarebbero dirimenti ai fini della retrodatazione dei termini custodiali alla data in cui, atteso "l'intrinseco rapporto di dipendenza tra i due titoli cautelari", la misura, nella "compresenza dei presupposti", avrebbe già potuto essere applicata.
3.2. - L'opposto e prevalente orientamento reputa, invece, ostativa all'applicazione della disciplina dettata dall'art. 297 comma 3 c.p.p. la sopravvenuta "cristallizzazione" del giudizio di cognizione sul merito delle imputazioni oggetto della prima ordinanza custodiale (dalla cui esecuzione il ricorrente intende far decorrere i termini della custodia cautelare afferente ai reati ascrittigli con la seconda ordinanza in atto), conclusosi con sentenza definitiva di condanna dell'imputato, difettando in tal caso la necessaria "contestualità" o "coesistenza delle misure" in atto (Cass., Sez. VI, 5/3/2003 n. 23779, Monteforte, rv. 225911; Sez. IV, 29/3/2005 n. 27901, Buzukja; Sez. I, 19/5/2005 n. 24649, Falanga; Sez. II, 19/12/2005 n. 789/06, Esposito; Sez. V, 19/1/2006 n. 20561, Crisafulli, in Cass. peri 2007, 1668; Sez. IV, 16/5/2006 n. 20828. Marino; Sez. IV, 16/5/2006 n. 23667, Faglia; Sez. VI, 25/9/2006 n. 35391, Della Gala; Sez. VI, 9/11/2006 n. 3443/07, Di Liberto; Sez. V, 4/12/2006 n. 13211/07, Di Silvestro; Sez. Il, 7/12/2006 n. 41604, Lo Cicero; Sez. IV, 8/5/2007 n. 26434, Osifo, rv. 236993; Sez. IV, 13/6/2007 n. 28135, P.G. in proc. Arena, rv. 236898, in Cass. peri 2008, 3729; Sez. IV, 3/10/2007 n. 3013/08, Del Bianco Marcos, rv. 238740, in una fattispecie del tutto analoga a quella oggetto del presente ricorso; Sez. I, 15/11/2007 n. 44944, Contaldo, rv. 238881; Sez. IV, 11/12/2007 n. 3038, Spahia; Sez. I, 6/12/2007 n. 46628, Chiodo; Sez. V, 8/2/2008 n. 9051, Palmieri; Sez. VI, 20/2/2008 n. 12334. Sermone, rv. 239286; Sez. V, 20/2/2008 n. 25154, Monsignore; Sez. V, 20/2/2008 n. 25154. Virga. rv. 240484; Sez. VI, 19/6/2008 n. 41106. Cucina; Sez. I, 25/2/2009 n. 11514, Costantino; e numerose altre conformi).
4. - Le Sezioni Unite ritengono di condividere gli argomenti che giustificano quest'ultimo indirizzo interpretativo per le seguenti ragioni di ordine letterale e logico-sistematico. 5. - A fronte del dato letterale, che sembra postulare la qualità attuale di "imputato" per i fatti contemplati dalle plurime ordinanze applicative della medesima misura, i cui termini di durata sono commisurati alla "imputazione" più grave, e pretendere quindi che le ordinanze cautelari siano ancora in itinere, la sopravvenuta sentenza di condanna irrevocabile nel procedimento per i reati di cui alla prima ordinanza muta i termini, anche semantici, del raffronto postulato dall'art. 297 comma 3 c.p.p.: l'imputato, all'esito del giudizio di cognizione, è stato "condannato; la verifica dell'ipotesi di accusa di cui all'imputazione si è conclusa positivamente con l' "accertamento di fatto" contestato; il titolo custodiale non è più 1' "ordinanza" cautelare ma la "sentenza" di merito. D'altra parte, in difetto della "coesistenza" o "contestualità", in atto, della pluralità delle misure a causa della cessazione della prima vicenda cautelare, neppure può parlarsi di un surrettizio "prolungamento", nel senso proprio della parola, dei termini della misura custodiale applicata con la prima ordinanza, laddove, all'atto del secondo provvedimento restrittivo, al regime di detenzione preventiva è subentrato quello di espiazione della pena inflitta per il reato oggetto dell'antecedente ordinanza. Sicché la misura cautelare non è più giuridicamente esistente, né può sussistere alcuna questione di termini di durata della medesima, che (secondo Cass., Sez. Un., 14/7/2004 n. 31524, Litteri, rv. 228167) perde ogni rilevanza quando diviene irrevocabile la sentenza di condanna a pena detentiva superiore al presofferto, aprendosi ormai con la definitività dell'accertamento di merito la fase esecutiva. S'intende dire che il meccanismo e la ratio dell'istituto della retrodatazione/imputazione (impedire che, con una seconda ordinanza restrittiva, si allunghino, in modo abnorme e strumentale, i termini della custodia cautelare relativi al primo provvedimento di cattura) vengono sostanzialmente vanificati, quanto al periodo di custodia sofferta per i reati contemplati dalla prima ordinanza, per effetto dell'applicazione del generale principio cardine dell'esecuzione penale della detrazione del "presofferto", sancito dall'art. 657 comma 1 c.p.p.. Ed invero, una volta correttamente computata la custodia cautelare subita nella determinazione della pena detentiva da eseguire, inflitta con la sentenza di condanna irrevocabile, non è consentito dall'ordinamento procedere al "recupero" (nei termini indicati dalla sentenza Librato) del medesimo periodo di custodia, che ormai non esiste più, mediante l'operazione - di segno inverso - di " imputazione" della pena espiata alla durata di un diverso titolo custodiale in atto. Mette conto, infine, di osservare che, se la ratio di favore che ispira il divieto di "contestazioni a catena" è quella di evitare le conseguenze sulla durata delle misure cautelari di un possibile arbitrario comportamento del pubblico ministero, essa non sorregge un'interpretazione diversa da quella qui condivisa, ove si considerino le caratteristiche, invero paradigmatiche, del caso in esame. Sarebbe invero illogico ipotizzare che il pubblico ministero abbia strumentalmente diluito la contestazione degli addebiti e le conseguenti iniziative cautelari, onde perseguire un prolungamento dei termini di durata della prima misura, attendendo oltre tre anni, prima di fare richiesta di una nuova ordinanza applicativa della stessa misura per fatti diversi, non soltanto che l'odierno ricorrente venisse condannato per il delitto nella cui flagranza era stato arrestato e che la condanna divenisse irrevocabile, ma anche che l'imputato (indagato nel separato procedimento), scontata interamente la pena, venisse scarcerato e restasse in libertà per circa un anno, rischiandone la sottrazione all'esecuzione della nuova misura.
6. - A favore della prospettata soluzione ermeneutica converge altresì la ricognizione delle regole dirette a ricondurre in un'armonica ricomposizione l'area dei complessi rapporti fra la disciplina, da un lato, degli effetti di determinate sentenze, dell'efficacia del giudicato e dell'esecuzione penale detentiva e, dall'altro, il regime della custodia cautelare, laddove essa sia sospettata di abnorme prolungamento a causa della diluizione e dello strumentale differimento delle contestazioni da parte dell'accusa.
6.1. - Vanno prese in considerazione, innanzi tutto, le fattispecie risolutive della vicenda cautelare per effetto di determinate pronunce giudiziali, le quali smentiscono l'originaria prognosi di colpevolezza (archiviazione, non luogo a procedere, proscioglimento di merito: artt. 300, commi 1 e 2, e 532 comma 1 c.p.p.) oppure, nonostante la conferma della prognosi di colpevolezza per il contenuto di condanna che presentano (e però a pena estinta, condizionalmente sospesa, ovvero a pena detentiva non superiore alla custodia cautelare già sofferta: artt. 300, commi 3 e 4, e 532 comma 2 c.p.p.), evidenziano il contrasto del permanere della cautela con il principio di proporzionalità della misura di cui al secondo comma dell'art. 275 c.p.p.. Orbene, com'è stato osservato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 453 del 1997, a proposito del sopravvenuto proscioglimento dalla imputazione più grave in potesi di più reati legati da connessione qualificata, l'immediata perdita di efficacia el titolo custodiale, in questo caso, "... automaticamente dissolve il nesso tra i reati evocato dall'art. 297 comma 3 c.p.p., proprio perché trattasi di nesso rilevante ai soli effetti del computo dei termini di durata delle misure''; ne consegue "... all'evidenza, nelle diverse sedi processuali, la totale autonomia di ciascuna regiudicanda agli effetti del computo dei relativi termini di fase, non diversamente da ciò che accadrebbe ove fra i singoli reati non fosse ab origine esistito il nesso di collegamento dal quale scaturisce l'operatività della disciplina che viene qui in discorso".
6.2. - Per altro verso e a maiori, la sopravvenienza del giudicato di condanna nel primo procedimento fa venir meno la funzione di garanzia sottesa all'istituto, poiché il titolo custodiale perde la sua autonoma configurazione dissolvendosi nella pronuncia definitiva di merito, che diventa, a questo punto, l'esclusivo titolo di legittimazione della restrizione della libertà personale del condannato. Viceversa, l'applicazione del regime della retrodatazione/imputazione dei termini di durata della custodia cautelare finirebbe per determinare, pure in presenza del giudicato, un'irrazionale e asincronica reviviscenza dell'efficacia di uno status detentionis il cui titolo è oramai rreversibilmente mutato. L'art. 649 c.p.p., nel disporre che "l'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze ..." (comma 1) e che "se ciò nonostante viene di nuovo iniziato procedimento penale, il giudice in ogni stato e grado del processo pronuncia sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, enunciandone la causa in dispositivo" (comma 2), configura, infatti, una preclusione all'esercizio della relativa azione, penale e cautelare ad un tempo. Stante l'evidente nesso di strumentalità della seconda rispetto alla prima, appare indubitabile che nel perimetro della forza espansiva del ne bis in idem ricadano, oltre l'esercizio dell'azione penale, anche gli effetti cautelari (in termini, C cost., sent. n. 230 del 2004) e, più in generale, il potere di ius dicere ad opera del giudice investito della cognizione dell'identica regiudicanda nel secondo procedimento. E' stato, invero, perspicuamente affermato che con il giudicato viene a consolidarsi la "somma preclusione" conseguente alla consumazione del potere di azione, penale e cautelare, e di giurisdizione in ordine al "medesimo fatto (Cass., Sez. Un., 28/6/2005 n. 34655, P.G. in proc. Donati, rv. 231800). E si è anzi sottolineato in più occasioni che, in considerazione della portata generale del principio di ne bis in idem, pure in pendenza di un procedimento già definito in primo grado e in attesa del giudizio di appello non è consentito iniziare, per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona, un nuovo procedimento, nell'ambito del quale sia altresì emessa ordinanza di custodia cautelare (Cass., Sez V, 10/7/1995, Pandolfo, rv. 202653; Sez. VI, 11/2/1999, Siragusa, rv. 212864; Sez. VI, 18/11/2004 n. 1892/05, Fontana, rv. 230860). Di talché, proprio con particolare riferimento al nucleo originario comune costituito dall'ipotesi di medesimezza del fatto, quel che conta e appare assorbente, al fine di precludere l'applicazione di una misura cautelare per quel reato in ordine al quale l'imputato è già stato irrevocabilmente giudicato, è, dunque, solo l'accertamento della identità del fatto, intesa come corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, rapporto di causalità) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona. Sembra invero incontrovertibile che la ratio di garanzia individuale (oltre che di presidio alla stabilità delle situazioni giuridiche definitivamente accertate ed all'economia della giurisdizione, che osta alla proliferazione dei procedimenti e alla duplicazione delle decisioni sull'identica regiudicanda, vale a dire all' "abuso del processo"), cui s'ispira il divieto di un secondo giudizio sancito dall'art. 649 c.p.p., assolve per intero ai fini per i quali, solo a certe condizioni e in determinati luoghi e contesti del processo, si dispiega la differente e autonoma regola della retrodatazione dei termini di durata della custodia cautelare, stabilita dall'art. 297 comma 3 c.p.p. nel caso di emissione di più ordinanze che dispongono la medesima misura per uno "stesso fatto" nei confronti dello stesso imputato. E - occorre aggiungere - sarebbe illogico e asistematico prospettare una ricostruzione delle linee del fenomeno delle contestazioni a catena in termini e funzioni differenziate, a seconda che, una volta sopravvenuto il giudicato di condanna per il fatto reato di cui alla prima ordinanza cautelare, siano ascritti al medesimo imputato con un secondo provvedimento restrittivo lo "stesso fatto" (ipotesi nella quale l'ordinamento processuale appresta il rimedio preclusivo di cui all'art. 649 c.p.p.), ovvero "fatti diversi', avvinti o non da connessione qualificata (ipotesi nella quale residuerebbe invece, nel verificarsi dei presupposti di legge, l'applicabilità della regola dell'art. 297 comma 3 c.p.p.). Ritiene il Collegio, in definitiva, che l'operatività del divieto di bis in idem sia destinata a sterilizzare tout court il dispiegarsi dell'efficacia della regola della retrodatazione/imputazione, la quale (nella lettura che ne è stata data dal diritto vivente) appare dettata per ben altri e distinti contesti storico-processuali. 7. - Le precedenti riflessioni, svolte alla stregua dell'analisi letterale e logico-sistematica della normativa di riferimento, convergono dunque univocamente nel senso che "la disciplina, prevista dall'art 297 comma 3 c.p.p. in tema di c.d. contestazioni a catena, della retrodatazione dei temimi di durata della custodia cautelare relativi ad una misura disposta con ordinanza successiva, non opera quando per i fatti di cui alla prima ordinanza l'imputato sia stato condannato con sentenza passata in giudicato ancor prima dell'adozione della seconda misura". Ciò posto, apparendo ragionevole, alla luce del principio di diritto sopra enunciato, il discorso giustificativo dell'ordinanza impugnata, circa il difetto dei presupposti prescritti per la configurabilità della deroga al principio dell'autonoma decorrenza dei titoli coercitivi e per la concreta applicabilità dell'art. 297 comma 3 c.p.p., ai fini della retrodatazione degli effetti della custodia cautelare, le censure mosse dalla difesa dell'imputato si palesano infondate. Il ricorso va pertanto rigettato con le conseguenze di legge.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell'istituto penitenziario, ai sensi dell'art. 94, comma 1-ter disp. att. c.p.p.. Così deliberato in Roma il 23 aprile 2009.