Risponde del reato di abuso dei mezzi di correzione, la maestra che assume un atteggiamento aggressivo e iroso nei confronti dei bambini, giungendo al punto di pronunciare insulti e infliggere umiliazioni prive di giustificazione.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI PENALE
Sentenza 17 settembre - 14 ottobre 2008, n. 38778
Svolgimento del processo
Con sentenza in data 8 giugno 2006, il Tribunale di Siena, sezione distaccata di Poggibonsi, condannava G.N. alla pena di mesi sei di reclusione in quanto responsabile del reato di cui all'art. 81 cpv. c.p., art. 571 c.p., comma 1, per avere, quale docente presso la scuola materna ****, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, abusato di mezzi di correzione e disciplina in danno dei bambini, di età tra i tre e i cinque anni, sottoposti alla sua autorità e a lei affidati per ragioni di educazione, istruzione, cura e vigilanza, maltrattandoli anche fisicamente e cagionando così in loro gravi perturbamenti psichici (in****).
A seguito di impugnazione dell'imputata, la Corte di appello di Firenze, con la sentenza in epigrafe, in parziale riforma della sentenza di primo grado, accordava i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della sentenza nel casellario giudiziale.
La prova della responsabilità dell'imputata è stata basata sulle dichiarazioni dei genitori dei bambini, che avevano loro riferito circa il comportamento della docente, e che avevano manifestato evidenti segni di timore e di rifiuto della scuola, nonchè sulla testimonianza della ispettrice scolastica B., che aveva assistito all'attività didattica della G. verificando di persona le umiliazioni cui la docente sottoponeva i bambini al di là di ogni normale esigenza educativa e didattica.
Ricorre per cassazione l'imputata, a mezzo del difensore, avv. Antonino Denaro, che deduce:
1. Vizio di motivazione in ordine alla prova della colpevolezza dell'imputata.
In primo luogo, le dichiarazioni dei genitori non riguardano fatti appresi direttamente, limitandosi essi a riferire ciò che i figli loro riferivano; e al riguardo la sentenza impugnata si è basata su una massima di esperienza fallace, quella secondo cui le dichiarazioni di bambini tanto piccoli devono ritenersi normalmente veritiere, che in realtà è smentita da una ben più solida massima di esperienza, avvalorata dalla psicologia forense, secondo cui il bambino, tanto più se in tenera età, tende ad assecondare le aspettative dell'adulto circa ciò che questo si attende di sentire da lui.
In secondo luogo, l'altra fonte di prova, individuata nella testimonianza della ispettrice B., non è centrata sul thema probandum, costituito dal comportamento prevaricatore che la G. avrebbe tenuto nei confronti dei bambini, dato che la teste si è limitata a riferire di avere notato un'aggressività della G. nei confronti dei genitori degli alunni.
2. Mancanza di motivazione circa la valutazione della testimonianza del direttore didattico L.M., il quale ha tra l'altro riferito in dibattimento che dalla visita ispettiva non era emerso alcun atteggiamento al di fuori della norma da parte della G. nei confronti dei bambini, e ha precisato, smentendo il racconto dei genitori circa il fatto che talvolta i bambini venivano chiusi a chiave nel bagno, che le porte dei bagni non avevano chiave.
Motivi della decisione
Il ricorso appare infondato.
E' ben vero che le dichiarazioni testimoniali dei genitori dei bambini sono de relato e che, in genere, i racconti dei bambini vanno valutati con particolare cautela, ma nella specie i giudici di merito hanno considerato che tali racconti erano tutti concordemente evocativi di un atteggiamento irascibile e violento della insegnante di cui i bambini riferirono separatamente e in tempi diversi ai genitori, per di più in uno stato d'animo (sofferenza psicologica, timore di andare a scuola) che giustamente è stato considerato il riflesso di fatti realmente accaduti e non di mere fantasticherie.
Contrariamente a quanto dedotto, dunque, i giudici di merito non hanno fatto applicazione di un'astratta e certamente erronea massima di esperienza (secondo cui non può "mai" dubitarsi della sincerità dei racconti di bambini tanto piccoli), ma hanno valutato l'attendibilità dei racconti fatti dai bambini ai loro genitori sulla base di considerazioni aderenti alla concretezza della fattispecie: concordanza di massima del contenuto delle dichiarazioni nonchè riflessi sulla condizione psicologica dei bambini della esperienza scolastica di tutti i giorni e dei loro rapporti con la insegnante.
Fuori centro, poi, è la critica alla valutazione della testimonianza della ispettrice B., che in realtà ha effettivamente avvalorato la credibilità dei racconti dei bambini, affermando che dal personale colloquio con la G. e, ancor più significativamente, dal concreto atteggiamento da questa manifestato nei rapporti con i bambini durante una giornata scolastica alla quale essa aveva partecipato, trasse la convinzione che la insegnante manifestava nei rapporti con i piccoli alunni un atteggiamento aggressivo e iroso, giungendo al punto di pronunciare insulti e infliggere umiliazioni prive di ogni giustificazione sia in assoluto sia con particolare riferimento ai rapporti che gli educatori sono tenuti ad osservare con personalità fragili e immature come quelle di esseri tanto piccoli.
Correttamente, dunque, questa testimonianza è stata ritenuta decisiva quale riscontro della attendibilità dei racconti fatti dai bambini ai genitori.
Quanto alla testimonianza del direttore didattico L., giustamente nella sentenza impugnata ad essa non si da particolare risalto, dato che il L. si limitò a ricevere le lagnanze dei genitori e a sollecitare una ispezione scolastica, delle cui conclusioni prese meramente atto. Peraltro, il direttore didattico pur senza collegamento con fatti specifici, ha riferito della personalità della G. in termini di inadeguatezza rispetto al suo ruolo di insegnante, così ulteriormente avvalorando la fondatezza della tesi accusatoria.
I risultati della ispezione furono poi quelli riferiti dalla B. nella sua testimonianza, sicchè non si comprende come possa affermarsi da parte della ricorrente, la quale forse equivoca tra tale ispezione e una precedente relativa ad analoghi fatti a carico della stessa G. (ma estranei al presente processo), che dalla visita ispettiva non era emerso alcun atteggiamento al di fuori della norma da parte della imputata nei confronti dei bambini.
Infine, il fatto che il L. abbia riferito che le porte dei bagni erano munite di chiave non contraddice affatto la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, posto che secondo quanto riferito da alcuni bambini, la docente li aveva talvolta relegati pur punizione al buio nel bagno "chiudendo la porta", che non implica affatto che la porta venisse chiusa a chiave, come del resto puntualmente osservato nella sentenza impugnata.
Appare dunque incensurabile l'affermazione di responsabilità dell'imputata per il reato contestatole, di cui sussistono tutti gli estremi; punto peraltro non specificamente toccato dal ricorso.
Al rigetto del ricorso consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 17 settembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2008.