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REATO IN GENERE
Imputabilità – Stati emotivi e passionali – Gelosia – Irrilevanza. (C.p., articoli 85 e seguenti)
Dal disposto dell’art. 90 del C.p., secondo cui gli stati emotivi o passionali non escludono né diminuiscono l’imputabilità, deriva che l’indebolimento dei freni inibitori e/o l’attenuazione della loro funzionalità in determinate aree sensibili (quali la possessività sospettosa della gelosia), se non dipendenti da un vero e proprio stato patologico, non sono in grado di incidere sulla capacità d’intendere e di volere e, quindi, sull’imputabilità. Infatti, la gelosia, quale stato passionale, in soggetti normali, si manifesta come idea generica portatrice di inquietudine e non è usualmente in grado né di diminuire, né tantomeno di escludere, la capacità di intendere e di volere del soggetto, salvo che essa nasca e si sviluppi da un vero e proprio squilibrio psichico, il quale deve presupporre uno stato delirante o maniacale, o comunque provenga da un’alterazione psicofisica consistente e tale da incidere sui processi di determinazione e di auto inibizione. (Fattispecie in cui la Corte ha rigettato il ricorso avverso la condanna per i reati di maltrattamenti, lesioni personali e sequestro di persona commessi dal convivente di una donna, non condividendosi il motivo del ricorso diretto ad introdurre la mancata considerazione della “gelosia” come stato emotivo che avrebbe dovuto rilevare per escludere la colpevolezza del reo).
Sezione VI, sentenza 25 – 31marzo 2010 n. 12621 – Pres. De Roberto; Rel. Lanza; Pm (conf.) Selvaggi; Ric. Mazza
REATI CONTRO IL PATRIMONIO
Rapina – Rapina impropria – Violenza – Estremi. (C.p., articolo 628, comma 2)
Ai fini della configurabilità del reato di rapina impropria è sufficiente l’esplicazione di una energia fisica, qualunque ne sia il grado di intensità, purchè idonea a produrre una coazione personale. Pertanto, la violenza può consistere anche nel divincolarsi, in una semplice spinta, in uno strattone, in uno schiaffo o simili al derubato ovvero ad altra persona che tenti di impedire la fuga dell’agente. Al riguardo, non è neppure necessario, quindi, l’esercizio di una violenza di intensità tale da cagionare lesioni, essendo appunto sufficiente l’esercizio di quel minimo di energia fisica idonea a produrre una coazione personale e a vincere l’azione del soggetto passivo o di altri tendente a recuperare la refurtiva o a impedire la fuga dell’autore della sottrazione.
Sezione II, sentenza 5 febbraio – 17 maggio 2010 n. 18551 – Pres. Carmerini; Rel. Cammino; Pm (conf.) Passacantando; Ric. Urizio.
STUPEFACENTI
Spaccio di sostanze stupefacenti – Detenzione e trasporto di tali sostanze allo scopo di commercio e spaccio – Applicazione dell’attenuante speciale prevista dal comma 5 dell’art. 73 del D.P.R. 309/1990 – Sussistenza. (D.P.R. 309/1990, articolo 73, commi 1 – bis e 5)
L’attenuante speciale prevista dall’art. 73 comma 5 del D.P.R. 309/1990, per i reati di produzione traffico di stupefacenti, trova applicazione quando la fattispecie concreta risulti di trascurabile offensività, sia per l’oggetto materiale del reato, in relazione alle caratteristiche qualitative e quantitative della sostanza, sia per la condotta, riferibile ai mezzi, alle modalità e alle circostanze della stessa, per cui il vaglio, in senso negativo, anche di uno solo dei parametri di riferimento individuati dalla legge, deve concludere ad escludere l’ipotesi del fatto di lieve entità.
Tribunale di Bari, sezione I penale, sentenza 12 marzo 2010 n. 413 – Giudice Mitola.
PROCEDIMENTO PENALE
Riti alternativi al dibattimento – Procedimento per decreto – Ricorso per cassazione – Inammissibilità – Conversione in opposizione – Esclusione. (C.p.p., articoli 461, 568, comma 5, e 606)
Avverso il decreto penale di condanna l’imputato non può proporre ricorso per cassazione, ma deve proporre opposizione, quale rimedio finalizzato a rimuovere il provvedimento monitorio e a instaurare il contraddittorio tra le parti: il ricorso eventualmente proposto va dichiarato inammissibile e non può essere convertito in opposizione invocando il disposto dell’art. 568, comma 5, del codice di procedura penale.
Sezione IV, sentenza 16 dicembre 2009 – 28 gennaio 2010 n. 3599 – Pres. Mocali; Rel. Romis; Pm (diff.) Geraci; Ric. Silvano
DIFENSORE PENALE
Sostituto – Nomina – Formalità. (C.p.p., articolo 102; disposizioni di attuazione del C.p.p., articolo 34)
Il sostituto del difensore va designato secondo le formalità indicate dall’art. 34 delle disposizioni di attuazione del C.p.p., che seguono quelle previste per la nomina del difensore di fiducia dall’art. 96 , comma 2, del C.p.p., il quale dispone che <<la nomina è fatta con dichiarazione resa all’autorità procedente ovvero consegnata alla stessa o trasmessa con raccomandata>>. Requisito fondamentale per tale nomina è costituito, pertanto, dalla <<dichiarazione>> del difensore contenente la volontà di designare un sostituto: dichiarazione che può essere orale, se resa dinanzi all’autorità giudiziaria, o formalizzata per iscritto, nel caso in cui l’atto venga consegnato o spedito all’autorità che procede.
Sezione VI, sentenza 2 febbraio – 21 aprile 2010 n. 15229 – Pres. Lattanzi; Rel. Matera; Pm (conf.) Selvaggi; Ric. Merla
REATI CONTRO L'ORDINE PUBBLICO
Reati associativi – Associazione di tipo mafioso – Reati fine – Continuazione – Condizioni – Fattispecie. (C.p., articoli 81, comma 2, e 416 bis)
Perché rispetto al reato associativo, tipico reato permanente, e i reati fine possa ravvisarsi il vincolo della continuazione occorre che il completo progetto delittuoso, compresi i reati fine, sia stato già concepito sin dall’atto iniziale della sua permanenza, non bastando che lo avvenga durante il suo svolgimento: da ciò derivando che per i reati associativi tale disegno integrale deve sussistere sin dal momento dell’adesione al gruppo criminale, potendosi ravvisare la continuazione solo rispetto ai reati fine che si accerti essere stati deliberati nelle loro linee essenziali, sin dal momento di tale adesione. Ciò lo si desume dal fatto che il reato permanente è da considerare già perfetto e consumato sin con il primo realizzarsi dei suoi elementi costitutivi, con la conseguenza che i reati ideati dopo tale realizzarsi sono il frutto di altro, diverso disegno criminoso e perciò non possono essere messi in continuazione. (Da queste premesse, la Corte ha rigettato il motivo di ricorso che, sul rilievo della natura permanente del reato associativo, pretendeva dovesse essere ritenuta la continuazione fra il reato di partecipazione ad associazione mafiosa e un reato di omicidio che si assumeva essere stato uno dei reati fine del clan mafioso, sostenendosi al riguardo che proprio la rilevata natura permanente dell’associazione non avrebbe richiesto che l’ideazione dell’omicidio risalisse al momento dell’adesione al sodalizio criminale).
Sezione VI, sentenza 19 febbraio – 3 marzo 2010 n. 8603 – Pres. De Roberto; Rel. Agrò; Pm (conf.) Cedrangolo; Ric. Pulci e altri
PROVE PENALI
Procedimenti speciali – Giudizio direttissimo – Richiesta di giudizio abbreviato – Proposizione dopo l’intervenuta concessione del termine a difesa – Tardività.
(C.p.p., articoli 451 e 452)
In tema di giudizio direttissimo, l’avvenuta concessione del termine a difesa, ai sensi dell’art. 451, comma 6, del C.p.p., presupponendo che abbia già avuto luogo l’apertura del dibattimento, preclude la richiesta di giudizio abbreviato prevista dall’art. 452, comma2, dello stesso codice.
Sezione V, sentenza 18 febbraio – 1° aprile 2010 n. 12778 – Pres. Ferrua; Rel. Amato; Pm (conf.) Di Casola; Glaudi e altri.
REATO IN GENERE
Reato colposo – Reato omissivo proprio – Rapporto di causalità – Accertamento.(C.p., articolo 40, comma 2)
In tema di causalità nei reati omissivi propri, può pervenirsi al giudizio di responsabilità solo quando, all’esito del ragionamento probatorio, che abbia escluso l’incidenza di fattori alternativi, risulti giustificata e <<processualmente certa>> la conclusione che la condotta omissiva dell’imputato è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con <<alto o elevato grado di credibilità razionale>> o “probabilità logica”.
Sezione IV, sentenza 11 febbraio – 3 marzo 2010 n. 8641 – Pres. Mocali; Rel. Marinelli; Pm (diff.) Cedrangolo; Ric. Truzzi e altro.
PROVA PENALE
Perizia e consulenza tecnica – Valutazione del giudice sulle diverse conclusioni tecniche – Motivazione – Conseguenze in tema di sindacato di legittimità. (C.p.p., articoli 220 e seguenti e 606, comma1, lettera e)
In virtù del principio del libero convincimento del giudice e di insussistenza di una prova legale o di una graduazione delle prove, il giudice ha la possibilità di scegliere, fra le varie ipotesi prospettate da differenti periti di ufficio e consulenti di parte, quella che ritiene condivisibile, purchè dia conto, con motivazione accurata e approfondita delle ragioni del suo dissenso o della scelta operata e dimostri di essersi soffermato sulle tesi che ha ritenuto di disattendere e confuti in modo specifico le deduzioni contrarie delle parti, sicchè, ove una simile valutazione sia stata effettuata in maniera congrua in sede di merito, è inibito al giudice di legittimità di procedere a una differente valutazione, poiché è in presenza di un’ accertamento in fatto come tale insindacabile dalla Corte di cassazione, se non entro i limiti del vizio motivazionale.
Sezione IV, sentenza 20 aprile – 4 maggio 2010 n. 16944 – Pres. Mocali; Rel. Picciali; Pm(conf.) Stabile; Ric. Bonsignore.
REATI CONTRO LA PERSONA
Diffamazione – Diritto di critica – Non verità del fatto – Esimente putativa – Condizioni. (Costituzione, articolo 21; C.p., articoli 51, 59 e 595)
In tema di diffamazione, a fronte di un’accertata non veridicità del fatto diffamatorio, non potrebbe valere, per fondare l’esimente del diritto di critica nella forma putativa, il mero <<intimo convincimento>> dell’imputato circa la verità del fatto, occorrendo, invece, l’assolvimento da parte dell’imputato dell’onere di esaminare, controllare e verificare il fatto, in modo da superare ogni dubbio, ma non essendo a tal fine, sufficiente un generico affidamento sia pure in buona fede: il giudice, in tal caso, per poter applicare l’esimente, deve spiegarle ragioni per le quali, in via di fatto, possa ritenersi provato che l’imputato, nel formulare l’accusa di un fatto non vero, abbia comunque ottemperato al proprio dovere di diligenza nella formulazione di un’accusa da lui però ritenuta fondata.
Sezione V, sentenza 26 gennaio – 24 marzo 2010 n. 11277 – Pres. Ambrosini; Rel. Vessichelli; Pm (conf.) Galati; Ric. Pg appello Catanzaroin proc. Militano.
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