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REATI CONTRO LE PERSONE

Reati contro la libertà sessuale – Violenza sessuale – Procedibilità d’ufficio in caso di connessione con delitto procedibile d’uffico – Connessione – Nozione – Fattispecie. (C.p., articoli 609-bis e 609- seppie, comma 4, n.4)
In materia di violenza sessuale, la procedibilità d’ufficio determinata dall’ipotesi di connessione prevista dall’articolo 609- seppie, comma 4, n.4, del C.p. (connessione con un altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio), si verifica non solo quando vi è connessione in senso processuale (articolo 12 del C.p.p.), ma anche quando vi è la connessione meramente investigativa di cui all’articolo 371, comma 2, del C.p.p., ovvero quando si è in presenza di reati commessi in occasione di altri reati, di reati commessi per eseguirne altri o quando la prova di un reato o di una circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un’altra circostanza. Infatti, la procedibilità d’ufficio per il delitto di violenza sessuale in caso di connessione con altro delitto procedibile d’ufficio ricomprende qualsiasi ipotesi di connessione idonea a fare venire meno le esigenze di riservatezza collegate al reato di cui all’articolo 609-bis del C.p.. (Fattispecie i cui gli abusi sessuali contestati all’imputato sono stati ritenuti procedibili d’ufficio perché connessi con i delitti di usura parimenti contestatigli, sia per il vincolo occasionale, sia per il vincolo ideologico, posto a fondamento della ritenuta continuazione).
Sezione III, sentenza 24 settembre – 17 novembre 2009 n. 43840 – Pres. Onorato; Rel. Lombardi, Pm (conf.) Di popolo

MISURE CAUTELARI

Misure cautelari personali – Misure interdittive – Impugnazioni- Interesse a impugnare – Sopravvenuta perdita di efficacia di una misura interdittiva – Possibile perdurare dell’interesse – Esclusione – Ragioni. (C.p.p., articoli 287, 311 e 568, comma 4)
In tema di interesse all’impugnazione, la sopravvenuta estinzione di una misura interdittiva nel corso del procedimento di gravame comporta il venir meno dell’interesse alla decisione sul gravame stesso, in quanto tale interesse, da qualificare ai sensi dell’articolo 568, comma 4, del C.p.p. solo come collegato agli effetti primari e diretti del provvedimento, una volta meno la misura, può derivare solo dalla perdurante lesione di un diritto soggettivo, quale quello al conseguimento alla riparazione per ingiusta detenzione, ma non dalla incidenza su situazioni di mero interesse, tutelabili nella sede propria.
Sezione VI, sentenza 11-29 dicembre 2009 n. 49782 Pres. e rel. De Roberto; Pm (conf.) Cedrangolo; Ric. Montella.

PARTE CIVILE

Costituzione della parte civile – Principio di immanenza della costituzione – Effetti nel giudizio di impugnazione – Limiti- Ricorso per cassazione della parte civile non impugnante in sede di appello – Inammissibilità- Fattispecie. ( C.p.p., articolo 76, comma 2)
La parte civile, in regione del principio dell’immanenza della sua costituzione nel corso dell’intero procedimento (articolo 76, comma 2, del C.p.p.) pur se non impugnante, può giovarsi dell’appello del pubblico ministero (sezioni Unite 10 luglio 2002, Guadalupi). Peraltro, se il giudizio di impugnazione si risolve in una conferma della sentenza impugnata, sfavorevole alle ragioni dalla parte civile, questa, non avendo proposto appello, non può poi proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di appello, non essendosi doluta, mediante autonoma impugnazione, della sentenza di primo grado (da queste premesse, la Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso della parte civile avverso la sentenza di appello che aveva confermato quella di primo grado di assoluzione dell’imputato appellata esclusivamente dal pubblico ministero
Sezione VI, sentenza 13 ottobre -23 dicembre 2009 n. 49497 – Pres. de Roberto ; Rel. Conti; Pm (conf.) Bua; Ric. parte civile Mirolo in proc Tamai

REATI CONTRO IL PATRIMONIO

Invasione di terreni o edifici – Elemento materiale – Caratteristiche – Fattispecie. (C.p., articolo 633)
La condotta tipica del reato di invasione di terreni consiste nell’introduzione dall’esterno in fondo altrui di cui non si abbia il possesso o la detenzione: la norma di cui all’articolo 633 del C.p., infatti, non è posta a tutela di un diritto, ma di una «relazione di fatto» tra l’offeso e la cosa, per cui tutte le volte in cui colui che occupa sia già in possesso del bene deve escludersi la sussistenza del reato (da queste premesse, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di condanna, evidenziando come il giudice di merito non avesse adeguatamente apprezzato gli elementi proposti a difesa dell’imputato, il quale aveva addotto il proprio stato di legittimo possesso del terreno, senza violenza o clandestinità, risalente a epoca precedente al momento dell’acquisto da parte dell’attuale proprietaria, onde la mera permanenza nel possesso del terreno non avrebbe comunque potuto integrare l’elemento materiale del reato).
Sezione II, sentenza 2-24 dicembre 2009 n. 49567 –Pres. Findanese; Rel. Fumu; Pm (diff.) Riello; Ric. Cadela.

REATO IN GENERE

Circostanze di reato – Circostanze aggravanti – Recidiva reiterata – Facoltatività – Conseguenze in tema di giudizio di comparazione con le attenuanti. (C.p., articoli 69, comma 4, e 99, comma 4)
A seguito della modifiche introdotte dalla legge 5 dicembre 2005 n. 251 (cosiddetta legge ex Cirielli); la recidiva reiterata ex articolo 99, comma 4, del C.p. non può essere ritenuta minusvalenze rispetto alle circostanze attenuanti, dato che così ora dispone l’articolo 69, comma 4, del C.p.. Peraltro ciò non implica che la nuova disciplina della recidiva reiterata ne renda obbligatorio il suo rilievo in termini di aggravamento sanzionatorio, dato che, come osservato dalla Corte costituzionale, con la sentenza interpretativa n. 192 del 2007, deve ritenersi che, qualora la recidiva (anche se reiterata) concorra con una o più circostanze attenuanti, il giudice deve procedere al giudizio di bilanciamento – soggetto al regime limitativo di cui al richiamato articolo 69, comma 4, del C.p. unicamente quando ritenga la recidiva effettivamente idonea a influire, di per sé, sul trattamento sanzionatorio del fatto per cui procede, mentre , in caso contrario, non deve farsi luogo ad alcun giudizio di comparazione. Il giudice, quindi è tenuto preliminarmente a verificare se il nuovo episodio criminoso sia concretamente significativo sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo, in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti e avuto riguardo ai parametri indicati dall’articolo 133 del codice penale.
Sezione VI, sentenza 13 ottobre – 23 dicembre 2009 n. 49495 – Pres. de Roberto; Rel. Conti; Pm (conf.) Bua; Ric. Pg appello Brescia in proc. Baglio

CIRCOLAZIONE STRADALE E CODICE DELLA STRADA

Guida sotto l’influenza dell’alcool – Rifiuto di sottoporsi all’accertamento alcolimetro – Sanzioni – Confisca del veicolo – Natura giuridica – Rimessione alle sezioni Unite. (Decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285, articolo 186, commi 2, lettera c) e 7; C.p., articolo 240)
Va rimessa alle sanzioni Unite la questione se la confisca del veicolo prevista, in caso di rifiuto di sottoporsi all’accertamento alcolimetrico, dall’articolo 186, comma 7, del codice della strada, abbia natura di misura di sicurezza, come quella prevista per il reato di guida in stato di ebbrezza dal precedente comma 2, lettera c), dello stesso articolo 186, ovvero abbia natura di sanzione amministrativa accessoria, come farebbe propendere la formulazione letterale del disposto normativo, laddove si chiama «la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida ..e della confisca del veicolo…», apparendo così evidente che il “della” è solo specificativo di uno dei tipi di sanzione amministrativa accessoria che consegue alla condanna per il reato di rifiuto (appunto, sospensione della patente di guida e confisca del veicolo).
Sezione IV sentenza 27 ottobre – 19 novembre 2009 n. 44640 – Pres. Morgigni; Rel. Marzano; Pm (diff.) Salzano; Ric. Proc. Rep. Trib. Pordenone in proc. Caligo

 

Comportamento del conducente in caso di incidente – Incidente con danno alla persona – Inottemperanza all’obbligo di fermarsi e di prestare assistenza – Elemento soggettivo – Dolo eventuale – Contenuto. (Decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285, articolo 189, commi 1 e 7)
Il reato di cui al combinato disposto dell’articolo 189, comma 1 e 7, del codice della strada, che punisce la violazione dell’obbligo di fermarsi e di «prestare assistenza alle persone ferite» da parte dell’utente della strada, in caso di incidente con danno alle persone comunque ricollegabile al comportamento, è punibile a titolo di dolo. Per la punibilità è cioè necessario che ogni componente del fatto tipico (segnatamente il danno alle persone e l’esservi persone ferite, necessitanti di assistenza) sia conosciuto e voluto dall’agente. A tal fine, è però sufficiente anche il dolo eventuale, che si configura normalmente in relazione all’elemento volitivo, ma che può attendere anche all’elemento intellettivo, quando l’agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso il rischio; ciò significa che, rispetto alla verificazione del danno alle persone eziologicamente collegato all’incidente, è sufficiente (ma per sempre necessario) che, per le modalità di verificazione di questo e per le complessive circostanze della vicenda, per l’agente si rappresenti la probabilità – o anche la semplice possibilità – che dall’incidente sia derivato un «danno alle persone» e che queste «necessitino di assistenza» e, pur tuttavia, accettandone il rischio, ometta fermarsi.
Sezione IV, 5 novembre 2009 – 17 novembre 2009 n. 43960; Pres. Campanato; Rel. Piccialli; Pm (conf.) Iacoviello; Ric. Bernardi

PARTE CIVILE

Costituzione – Udienza di discussione – Presenza – necessità – Assenza – Revoca della costituzione. (C.p.p., articoli 82 e 523)
Deve considerarsi revocata la costituzione di parte civile, quando la parte civile, nonostante risulti avere presentato le proprie conclusioni scritte (contenute nell’atto di costituzione), non si presenti comunque all’udienza di discussione come impostole dell’articolo 523 del C.p.p..
Sezione II, sentenza 24 aprile – 8 ottobre 2009 n. 38998 – Pres. Esposito; Rel. De Crescienzo; Pm (diff.) Galati; Ric. Parte civile Cilento in proc. Fino

GIUDICE

Ricusazione – Presentazione della dichiarazione – Effetti. (C.p.p., articoli 37, comma 2)
In base al disposto dell’articolo 37, comma 2, del C.p.p., per effetto della dichiarazione di ricusazione rimane inibita la potestà del giudice di emettere la decisione della quale è investito, fino a quando non sia intervenuta l’ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione. Da ciò consegue, con riferimento al momento di presentazione della dichiarazione, che, laddove questa sia presentata appena prima della decisione finale, la sospensione della decisione è immediata; in quanto il giudice è privato di ogni potere deliberativo; mentre; laddove questa sia assunta in limine; il giudice è abilitato a compiere tutte le attività processuali antecedenti l’indirizzi conclusivo del procedimento e solo all’esaurimento di esse sia determinata la privazione del potere deliberativo. (Da questa premessa, la Corte ha ritenuto corretto che il Gup, riguardato da una dichiarazione di ricusazione all’indizio dell’udienza preliminare, avesse proseguito espletando gli atti della fase procedimentale in corso, rinviando poi la pronuncia finale fino alla decisione sulla ricusazione).
Sezione V, sentenza 9 luglio – 14 ottobre 2009 n. 40086 – Pres. Ferrua; Rel. Oldi; Pm (diff.) Cedrangolo; Ric. Iamonte

 

Ricusazione – Presentazione della dichiarazione – Rinvio del procedimento – Sospensione dei termini di custodia cautelare – Legittimità. (C.p.p., articoli 37 e 304, comma 1, lettera a)
In presenza di una dichiarazione di ricusazione, il giudice che rinvii il procedimento, in attesa della decisione sulla ricusazione, legittimamene può disporre la sospensione dei termini di custodia cautelare ai sensi dell’articoli 304, comma 1, lettera a), del C.p.p., e ciò in applicazione del principio secondo cui la dichiarazione di ricusazione equivale a un’implicita richiesta di rinvio.
Sezione V, sentenza 9 luglio – 14 ottobre 2009 n. 40086 – Pres. Ferrua; Rel. Oldi; Pm (diff.) Cedrangolo; Ric. Iamonte

PENA

Causa di estinzione della pena – Riabilitazione – Condizioni – Adempimento delle obbligazioni civili derivanti del reato – Rilevanza. (C.p., articoli 178 e seguenti)
Ai fini della concedibilità della riabilitazione, l’attivarsi del reo per l’eliminazione, per quanto possibile, di tutte le conseguenze di ordine civile derivanti della condotta criminosa costituisce condizioni imprescindibile per l’ottenimento del beneficio anche nel caso in cui nel processo penale sia mancata la costituzione di parte civile e non vi sia stata, quindi, alcuna pronuncia in ordine alle obbligazioni civili conseguenti al reato ovvero le parti lese non abbiano azionato proprie pretese civilistiche. L’adempimento delle obbligazioni civili, infatti, ha valore dimostrativo di emenda del condannato, nulla dimostrando in questa senso neppure, di per sé, l’astensione dello stesso del commentare ulteriori reati che può per contro informare tutt’al più per contro informare tutt’al più sulla scemata capacità criminale del soggetto, cosicché è valevole solo per poter esprimere un giudizio prognostico per il futuro e non per il passato e, dunque, non rileva ai fini applicativi della riabilitazione.
Sezione I, sentenza 29 settembre – 14 ottobre 2009 n. 40018 – Pres. Chieffi; Rel. Barbarisi; Ric. Bax

 

Causa di estinzione della pena – Riabilitazione – Condizioni – Adempimento delle obbligazioni civili derivanti del reato – Rilevanza- Inottemperanza – Onere dimostrativo a carico dell’interessato. (C.p., articoli 178 e seguenti)
Ai fini della concedibilità della riabilitazione, costituendo l’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato momento imprescindibile per l’ottenimento del beneficio, in quanto dimostrativo di emenda condannato,compete a quest’ultimo l’onere di dare specifica prova di non essere stato in grado di ottemperare per propria incapienza economica ovvero per impossibilità obiettiva assoluta di rintracciare le parti lese; mentre a tal fine, non potrebbe di per sé rilevare neppure un’eventuale rinuncia, in sede penale o civile, da parte delle stesse parti lese a coltivare istanze civilistiche, posto che tale condizione non esonera il riabilitando dell’obbligo di tentare un risarcimento o di attivarsi per un’offerta reale.
Sezione I, sentenza 29 settembre – 14 ottobre 2009 n. 40018 – Pres. Chieffi; Rel. Barbarisi; Ric. Bax

IMPUGNAZIONI PENALI

Ricorso per cassazione – Casi di ricorso – Difetto di motivazione – Modifiche normative introdotte dalla legge 20 febbraio 2006 n. 46 – Vizio di motivazione risultante dagli «atti del processo » - Rilevanza – Condizioni – Limiti – Sindacato di legittimità. (C.p.p., articolo 606, comma 1, lettera e)
Anche alla luce del nuovo testo dell’articolo 606, comma 1, lettera e), del C.p.p., come modificato dalla legge n. 46 del 2006, non è tuttora consentito alla Corte di cassazione di procedere a una rinnovata valutazione dei fatti ovvero a una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice di merito, giacchè la previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che “testo” del provvedimento impugnato, anche da «altri atti del processo», purchè specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha affatto trasformato il ruolo e i compiti del giudice di legittimità, il quale è tuttora giudice della motivazione, senza essersi trasformato un ennesimo giudice del fatto. In questa prospettiva, allorchè si deduca il vizio di motivazione risultante dagli «atti del processo»,non è sufficiente che detti atti siano semplicemente “contrastanti”con particolari accertamenti e valutazioni del giudice o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità né che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudice. Occorre, invece, che gli «atti del processo» su cui fa leva il ricorrente per sostenere la sussistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione. Pertanto, il giudice di legittimità è chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernente «atti del processo». Tale controllo è destinato a tradursi in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale “esistenza” della motivazione e sulla permanenza della “resistenza” logica del ragionamento del giudice. Mentre resta precluso al giudice di legittimità, in seda di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito,perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa: operazioni, queste, che appunto trasformerebbero la Corte di legittimità nell’ennesimo giudice del fatto.
Sezione IV, sentenza 6-17 novembre 2009 n. 43961 – Pres. Mocali; Rel. Piaccialli; Pm (conf.) Geraci; Ric. D’Alesio

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