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Massimario



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REATI CONTRO IL PATRIMONIO

Ricettazione – Elemento soggettivo – Prova – Dimostrazione. (C.p., articolo 648)
Ai fini della configurabilità della ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo del reato, ossia della conoscenza della provenienza illecita della cosa, può essere desunta da qualunque elemento abbia rilievo nella fattispecie e soprattutto dal difetto di spiegazioni a opera dell’imputato sui modi attraverso i quali è avvenuta la ricezione della cosa.
Sezione II, sentenza 22 ottobre – 5 novembre 2009 n. 42424 – Pres. Bardovagni; Rel. Bartolini; Pm (conf.) Salvi, Ric. Massa

STUPEFACENTI

Attività illecite – Detenzione – Destinazione a un uso non esclusivamente personale – Dimostrazione – Rilevanza degli indici sintomatici – Apprezzamento del giudice – Fattispecie. (D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, articolo 73, comma 1 bis, lettera a)
Il comma 1-bis, lettera a), dell’articolo 73 del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, inserito a seguito della modifiche introdotte nella disciplina sanzionatoria delle sostanze stupefacenti con il decreto legge 30 dicembre 2005 n. 272, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006 n.49, non prevede una «presunzione assoluta» di detenzione a fini di spaccio della sostanza stupefacente che superi i limiti quantitativi indicati nella medesima norma, ma si limita a indicare alcuni “elementi sintomatici” dai quali può trarsi la conclusione che la sostanza non era destinata a uso esclusivamente personale. Ne consegue che, ai fini dell’affermazione di responsabilità per detenzione illecita di sostanza stupefacenti,non è sufficiente il superamento dei predetti limiti ponderali, ma sarà necessario – nei casi in cui il mero dato ponderale non sia tale da giustificare inequivocabilmente la destinazione – che il giudice prenda in considerazione anche la modalità di presentazione, il peso lordo complessivo, il confezionamento eventualmente frazionato e ogni altra circostanza dell’azione che possa risultare significativa della destinazione a uso non esclusivamente personale. (Da queste premesse, in una fattispecie relativa alla detenzione di Hashish e di eroina da cui potevano ricavarsi, rispettivamente, circa 131 gr e circa 4 dosi medie giornaliere, la Corte ha ritenuto corretta e congruamente motivata la sentenza di condanna che aveva fondato la dimostrazione della destinazione illecita della droga sulla scorta di tutte le circostanze soggettive e oggettive del fatto, tenuto conto della modalità di nascondimento della droga, dell’assenza di prova circa lo stato di tossicodipendente dell’imputato, della quantità e qualità e tipo della sostanze stupefacenti in misura esorbitante le modeste condizioni di reddito lecito del medesimo e all’evidenza eccedente, in ipotesi, il fabbisogno in termini di ragionevole immediatezza di un tossicodipendente di media levatura).
Sezione IV, sentenza 17 luglio – 5 novembre 2009 n. 42485 – Pres.Iacopino; Rel. Licari; Pm (parz. diff.) Fraticelli; Ric. Maganiello

BANCHE

Reati in materia bancaria e finanziaria – Abusiva attività finanziaria – Elementi costitutivi – Organizzazione – Affiliazione a un’associazione criminosa – Sufficienza – Esclusione – Fattispecie. (Decreto legislativo 1° settembre 1993 n. 385, articolo 132)
Affinché possa configurarsi il reato di abusiva attività finanziaria, di cui all’articolo 132 del decreto legislativo 1° settembre 1993 n. 385 (testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) è indispensabile che l’agente ponga in essere una delle condotte indicate dall’articolo 106 del medesimo decreto (concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, assunzione di partecipazioni, prestazione di servizi a pagamento, intermediazioni in cambi) in forma professionale, organizzata, su scala imprenditoriale e rivolgersi al pubblico, atteso che solo tali modalità attrattive della condotta, in quanto idonee a indurre un rilevante fattore di turbativa nel mercato finanziario, realizzano quelle latitudine di gestione che ne evidenzia la pericolosità e la rilevanza penale. In questa prospettiva, deve escludersi che la condotta di affiliati ad associazione di tipo mafioso che offrono prestiti di modifiche somme a tassi usurari possa integrare, di per sé, il reato de quo, non potendosi ritenere che la partecipazione all’associazione illecita integri, per ciò, l’elemento dell’organizzazione, che costruisce uno dei requisiti essenziali che devono caratterizzare la condotta del reato di abusiva attività finanziaria. Diversamente opinando, del resto, si arriverebbe alla non condivisibile affermazione secondo cui ogni usuraio, se affiliato a un sodalizio illecito, debba essere chiamato a rispondere sempre e comunque del reato di esercizio di abusiva attività finanziaria ( da questa premessa, la Corte ha annullato senza rinvio, limitatamente al reato di abusiva attività finanziaria,l’ordinanza in materia cautelare adottata per tale reato, oltre che per quello di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, nei confronti di un indagato cui era stata contestata di curare, appunto quale partecipe a un’associazione di tipo mafioso, l’attività di erogazione di prestiti di denaro).
Sezione V, sentenza 17 settembre – 11 novembre 2009 n. 43046 – Pres. Ambrosini; Rel. Scalera; Pm (parz. diff.) Selvaggi: Ric. Castaglia

LAVORO

Malattie professionale – Responsabilità dei vertici aziendali. (C.p., articoli 40 e seguenti, 589)
Correttamente viene affermata la responsabilità omissiva per la morte di lavoratori (in numero di dodici) avvenuta per causa di malattia professionale da esposizione all’amianto (asbestosi) di chi ricopra la carica di amministratore delegato, e poi, di consigliere di amministrazione di una società, il quale , pur non facendo parte dello staff dirigenziale dello stesso stabilimento, abbia omesso di vigilare sull’andamento generale della gestione di impresa e non abbia dato adempimento alle obbligazioni di garanzia della salute e dell’integrità dei lavoratori che secondo legge ( a partire dalla norma generale di chiusura di cui all’articolo 2087 del Cc) gravavano su di lui. In tal caso, proprio l’assenza di intervento su temi come quello della malattia e della morte di tanti lavoratori dipendenti legittima il fondamento della responsabilità omissiva, non potendosi validamente opporre per escludere tale responsabilità la pretesa non conoscenza delle violazioni specifiche contestate, in quanto il non sapere di chi ha l’obbligo di sapere, in funzione dell’adeguato provvedere, e fattore costitutivo della colpa omissiva.
Sezione IV, sentenza 14 amggio – 30 ottobre 2009 n. 41782 – Pres. Mongigni ; Rel. Zecca; Ric. Stringa

REATI CONTRO LA PERSONA

Diffamazione – Diffamazione commessa con il mezzo stampa – Diritto di cronaca rispetto a fatti risalenti nel tempo – Diritto all’oblio – Valenza. (C.p., articoli 51 e 595)
Anche in sede penale assume rilievo il diritto all’oblio, inteso come giusto interesse di ogni persona a non restare indipendentemente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore ed alla sua reputazione la relativa pubblicazione di una notizia che in passato era sta legittimamente pubblicata , onde il giornalista , per potersi utilmente avvalere del diritto di cronaca, deve porre particolare rigore nel rappresentare la notizia e, quando trattasi di una vicenda giudiziaria, deve riportare che l’avvenuto coinvolgimento di una determinata persona si è risolta negativamente.
Sezione V, sentenza 17 luglio – 24 novembre 2009 n. 45051 – Pres. Pizzuti; Rel. Bruno; Pm (conf.) Cedrangolo; Ric. Vespa e altro

PROCEDIMENTO PENALE

Riti alternativi al dibattimento – Applicazione della pena su richiesta delle parti – Giudice del dibattimento – Rinnovazione della richiesta sulla quale il pubblico ministero aveva espresso il proprio dissenso – Possibilità di decidere immediatamente – Esclusione – Svolgimento del giudizio – Necessità.
(C.p.p., articolo 448)
Il giudice del dibattimento non può delibare sulla richiesta di patteggiamento, rinnovata entro le dichiarazione di apertura del dibattimento per il dissenso espresso dal pubblico ministero su quella presentata in precedenza, se non all’esito del giudizio, disponendo solo allora degli elementi per valutare se il dissenso sia giustificato o meno. Il giudice, quindi, non solo non ha l’obbligo di vagliare immediatamente la fondatezza o no del dissenso espresso dal pubblico ministero e di accogliere la richiesta dell’imputato, ma, anzi, deve necessariamente procedere al dibattimento (rappresentando questo l’unico strumento idoneo a fornire gli elementi sulla base dei quali esaminare la posizione del pubblico ministero), all’esito del quale potrà, ove ritenuto ingiustificato il dissenso manifestato dalla parte pubblica, valutare la congruità della pena richiesta e conseguentemente applicarla (da queste premesse, la Corte, accogliendo il ricorso del pubblico ministero, ha annullato senza rinvio la sentenza del giudice del dibattimento che, a fronte della rinnovazione della richiesta di patteggiamento, l’aveva subito accolta, ritenendo ingiustificato il dissenso in precedenza manifestato dal pubblico ministero, senza previamente procedere al dibattimento).
Sezione VI , sentenza 23 ottobre – 4 novembre 2009 n. 42374 – Pres. de Roberto; Rel. Rotundo; Pm (conf.) Selvaggi; Ric. Proc. Rep. Trib. Genova in proc. D’angelo

REATI CONTRO IL PATRIMONIO

Rapina – Rapina impropria – Caratteristiche – Rapporto temporale tra la sottrazione e l’uso della violenza o minaccia – Fattispecie. (C.p., articolo 628, comma 2)
In tema di rapina impropria (articolo 628, comma 2, del C.p.) laddove si sanziona chi, immediatamente dopo la sottrazione di una cosa, usi violenza o minaccia contro chiunque per assicurarsi il possesso della cosa sottratta o per procurarsi l’impunità, l’espressione immediatamente dopo non può essere interpretata in termini rigorosamente letterali, nel senso che la violenza o minaccia debbano seguire, senza alcun intervallo di tempo, alla sottrazione, ma va riferito alle nozioni di flagranza e di quasi flagranza. Per la configurazione del reato, in altri termini, non è richiesta la contestualità temporale tra la sottrazione e l’uso della violenza o della minaccia, ma è invece necessario e sufficiente che tra le due diverse attività intercorra un arco di tempo tale da non interrompere il nesso di contestualità dell’azione complessiva , e cioè che dette attività si presentino come un’azione unitaria posta in essere al fine di impedire al derubato di tornare in possesso delle cose sottratte o di assicurare al colpevole l’impunità (da queste premesse, secondo la Corte correttamente era stata ravvisata la rapina impropria a carico dell’imputato che si era impossessato dell’autovettura del padre e aveva usato violenza nei confronti di questi che lo aveva sorpreso a bordo del veicolo nella quasi immediatezza della sottrazione).
Sezione II, sentenza 14 ottobre – 9 novembre 2009 n. 42594 – Pres. Pagano; Rel. Chindemi; Pm (conf.) Bua; Ric. Caminciottoli

RISERVATEZZA

Reato in genere – Riservatezza – Accesso abusivo a un sistema informatico – Introduzione – Soggetto autorizzato ad accedere – Reato – Insussistenza – Eventuale utilizzo illecito dei dati – Autonoma rilevanza penale – Fattispecie. (C.p., articolo 615- ter)
Ai fini della configurabilità del reato di accesso abusivo a un sistema informatico (articolo 615-ter- del C.p.), l’abusività della condotta va verificata avendo riguardo al momento dell’accesso e non all’eventuale uso successivo dei dati acquisiti che, se illecito, potrà integrare un diverso titolo di reato. Pertanto, non commette il reato de quo chi, abilitato ad accedere al sistema informatico, usi tale facoltà per finalità estranee al compito ricevuto. (La Corte rigettando il ricorso del pubblico ministero ha condiviso la decisione del tribunale del riesame che aveva escluso il reato a carico di un consulente tecnico del pubblico ministero che, autorizza ad accedere nel sistema informatico dell’Agenzia delle entrate, si assumeva avesse utilizzato l’accesso oltre i termini e le finalità consentitegli acquisendo ed elaborando dati diversi e ulteriori).

Riservatezza – Accesso abusivo a un sistema informatico – Introduzione – Soggetto autorizzato ad accedere – Eventuale utilizzo illecito dei dati - Reato – Sussistenza – Fattispecie. (C.p., articolo 615-ter)
Integra il reato di accesso abusivo a un sistema informatico o telematico (articolo 615-ter del C.p.) la condotta del soggetto che, avendo titolo per accedere al sistema, vi si introduca con la password di servizio per raccogliere dati protetti per finalità estranee alla ragione di istituto e agli scopi sottostanti alla protezione dell’archivio informatico. (Fattispecie relativa all’indebita acquisizione, con la complicità di appartenenti alla polizia di Stato, di notizie riservate tratte dalla banca dati del sistema telematico di informazione interforze del ministero dell’interno, per l’utilizzo in attività di investigazione privata, in agenzie facenti capo agli stessi indagati o nelle quali essi prestavano la loro attività).
Sezione V, sentenza 13 febbraio – 30 aprile 2009 n. 18006 – Pres. Pizzuti; Rel. Bruno; Pm (conf.) Galati, Ric. Russo e altri

Riservatezza – Accesso abusivo a un sistema informatico – Introduzione – Soggetto autorizzato ad accedere – Eventuale utilizzo illecito dei dati - Reato – Sussistenza – Fattispecie. (C.p., articolo 615-ter)
Non commette il reato di cui all’articolo 615-ter del C.p. il soggetto il quale, avendo titolo per accedere al sistema, se ne avvalga, sia pure per finalità illecite, fermo restando che egli dovrà comunque rispondere dei diversi reati che risultano eventualmente configurabili, ove le suddette finalità vengono poi effettivamente realizzate. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha escluso che dovesse rispondere del reato in questione un funzionario di cancelleria il quale, legittimato in forza della sua qualifica ad accedere al sistema informatico dell’amministrazione giudiziaria, lo aveva fatto allo scopo di acquisire notizie riservate che aveva poi indebitamente rivelate a terzi con i quali era in previo accordo; condotta, questa, ritenuta integratrice del solo reato di rivelazione di segreto d’ufficio, previsto dall’articolo 326 del codice penale).
Sezione V, sentenza 29 maggio – 3 luglio 2008 n. 26797 – Pres. Fazzioli; Rel. Di Tomassi; Pm (parz. diff.) D’Angelo; Ric. Scimia e altri

Riservatezza – Accesso abusivo a un sistema informatico – Introduzione – Soggetto autorizzato ad accedere – Eventuale utilizzo illecito dei dati - Reato – Sussistenza – Fattispecie. (C.p., articolo 615-ter)
Non integra il reato di accesso abusivo a un sistema informatico (articolo 615-ter- del C.p.) la condotta di coloro che, in qualità rispettivamente di ispettore della Polizia di Stato e di appartenente all’Arma dei carabinieri, si introducono nel sistema denominato Sdi (banca dati interforze degli organi di polizia), considerato che si tratta di soggetti autorizzati all’accesso e, in virtù del medesimo titolo, a prendere cognizione dei dati riservati contenuto nel sistema, anche se i dati acquisiti siano trasmessi a un’agenzia investigativa, condotta quest’ultima ipoteticamente sanzionabile per altro e diverso titolo dei reato. (Nella fattispecie la Corte ha rilevato l’ininfluenza della circostanza che detto uso sia già previsto dall’agente all’atto dell’acquisizione e ne costituisca la motivazione esclusiva, in quanto la sussistenza della volontà contraria dell’avente diritto, cui fa riferimento l’articolo 615-ter del C.p., ai fini della configurabilità del reato, deve essere verificata solo ed esclusivamente con riguardo al risultato immediato della condotta posta in essere dall’agente con l’ accesso al sistema informatico e con il mantenersi al suo interno e non con riferimento a fatti successivi che, anche se già previsti, potranno di fatto realizzarsi solo in conseguenza di nuovi e diversi atti di volizione da parte dell’agente).
Sezione V, sentenza 20 dicembre 2007 – 17 gennaio 2008 n. 2534 – Pres. Colonnese; Rel. Dubolino; Pm (conf.) D’Angelo; Ric. Pm in proc. Migliazzo e altri

IMPUGNAZIONE PENALE

Appello – Rinnovazione dell’istruzione dibattimentale – Condizioni – Richiesta – Diniego della rinnovazione – Motivazione implicita – Ammissibilità – Sindacato di legittimità – Limiti. (C.p.p., articoli 603 e 606)
Nel giudizio d’appello, la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale è istituito di carattere eccezionale, in relazione al quale vale la presunzione che l’indagine istruttoria abbia ormai raggiunto la sua completezza nel dibattimento svolto innanzi al primo giudice. L’articolo 603, comma 1, del C.p.p., infatti, non riconosce carattere di obbligatorietà all’esercizio del potere del giudice d’appello di disporre la rinnovazione del dibattimento , anche quando è richiesta per assumere nuove prove, ma vincola e subordina tale potere, nel suo concreto esercizio, alla rigorosa condizione che il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di poter decidere allo stato degli atti. In una tale prospettiva, se è vero che il diniego dell’eventuale invocata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale deve essere spiegato nella sentenza di secondo grado , la relativa motivazione (sulla quale, nei limiti della illogicità e della non congruità, è esercitabile in controllo di legittimità) può anche ricavarsi per implicito dal complessivo tessuto argomentativo, qualora il giudice abbia dato comunque conto delle ragioni in forza delle quali abbia di poter decidere allo stato degli atti.
Sezione IV, sentenza 6-17 novembre 2009 n. 43966 – Pres. Mocali; Rel. Piccialli; Pm (conf.) Geraci; Ric. Morelli

REATO IN GENERE

Reato colposo – Presupposti della responsabilità – Violazione della regola cautelare – Nesso di causalità – Insufficienza – Prevedibilità ed evitabilità dell’evento – Necessità – Fattispecie in tema di infortunio sul lavoro. (C.p., articoli 41 e 43)
In tema di reato colposo, l’applicazione del principio di colpevolezza esclude qualsivoglia automatico addebito di responsabilità, a carico di chi pure ricopre la posizione di garanzia, imponendo la verifica in concreto della violazione da parte di tale soggetto della regola cautelare (generica o specifica) e della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare mirava a prevenire (la cosiddetta concretizzazione del rischio). Infatti l’individualizzazione della responsabilità penale impone di verificare non soltanto se la condotta abbia concorso a determinare l’evento (ciò che si risolve nell’accertamento della sussistenza del “nesso causale”) e se la condotta sia stata caratterizzata dalla violazione di una regola cautelare (generica o specifica; ciò che si risolve nell’accertamento dell’elemento soggettivo della “colpa”), ma anche l’autore della stessa (nella specie, il titolare della posizione di garanzia in ordine al rispetto della normativa precauzionale che si ipotizzava produttiva di evento lesivo morale) potesse “prevedere” ex ante quello “specifico” sviluppo cautelare e attivarsi per evitarlo. In quest’ottica ricostruttiva, occorre poi ancora chiedersi se una condotta appropriata (il cosiddetto, comportamento alternativo lecito) avrebbe o no “evitato” l’evento: ciò in quanto si può formalizzare l’addebito solo quando il comportamento diligente avrebbe certamente evitato l’esito antigiuridico o anche solo avrebbe determinato apprezzabili, significative probabilità di scongiurare il danno.
Sezione IV, sentenza 6-17 novembre 2009 n. 43966 – Pres. Mocali; Rel. Piccialli; Pm (conf.) Geraci; Ric. Morelli

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