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REATI CONTRO IL PATRIMONIO

Appropriazione indebita – Diritto di ritenzione – Rilevanza – Limiti – Fattispecie in tema di prestazione professionale sanitaria. ( C.p., articolo 646)
L’esercizio del diritto di ritenzione non vale a scriminare l’agente in ordine al reato di appropriazione indebita, quando il credito che si vuole tutelare attraverso l’esercizio dello ius retinendi non è né liquido né esigibile in tal caso, infatti l’appropriazione della cosa altrui integra il reato di cui all’articolo 646 del C.p., dovendosi ritenere ingiusto il profitto che l’agente intende realizzare in virtù di una pretesa che avrebbe dovuto far valere, in quanto non compiutamente definita nella specifiche necessarie connotazioni di determinatezza, liquidità ed esigibilità, soltanto con i mezzi leciti e legali postigli a disposizione dall’ordinamento giuridico. (Nella specie, la Corte ha ritenuto correttamente ravvisato il reato a carico di una dentista la quale, avendo ottenuto il possesso della radiografia effettuata da una paziente presso una Asl, in previsione di una prestazione terapeutica, aveva rifiutato di riconsegnarla alla paziente, con la giustificazione che la consegna sarebbe potuta avvenire solo previo pagamento dell’onorario, quantificato in una somma che la controparte contestava a causa di prospettati vizi dell’intervento terapeutico).
Sezione II, sentenza 24 febbraio – 12 giugno 2009 n. 24487 – Pres. Grassi; Rel. Carmenini; Pm (conf.) Galati; Ric. Weifner e altro

REATI CONTRO L'ORDINE PUBBLICO

Associazione di tipo mafioso – Condotte materiali – Partecipe – Dimostrazione – Frequentazioni e contatti con appartenenti all’associazione – Utilizzabilità – Limiti. (C.p., articolo 416-bis)
Mentre può essere utilizzato l’elemento delle frequentazione con pericolosi pregiudicati come indizio di pericolosità ai fini dell’applicazione di misure di prevenzione, tale elemento può essere utilizzato solo con estrema prudenza come indizio dell’appartenenza ad associazione criminosa (nella specie, tipo mafioso). Infatti, le semplici frequentazioni per parentela, affetti, amicizia, comune estrazione ambientale o sociale, per rapporti di affari e, a maggior ragione, gli occasionali o sporadici contatti, soprattutto in occasione di eventi pubblici (cortei, feste, funerali ecc.) in contesti territoriali ristretti, non possono di per sé essere utilizzati come sintomatici dell’appartenenza a sodalizi criminali. Tali contatti, piuttosto, allorquando la personalità dei soggetti fornisca concrete regioni sull’illiceità dell’attività svolta in comune, possono configurarsi come motivi di sospetto sufficienti per giustificare e indirizzare le indagini, ma non possono essere valorizzati come prove indirette o logiche. Inoltre i contatti e le frequentazioni, quando risultano qualificati da abituale o significativa reiterazione, non giustificata da usuali modalità di convivenza in contesti territoriali ristretti, possono essere utilizzati solo come riscontri da valutare ai sensi dell’articolo 192, comma 3, del C.p.p., laddove connotati dal necessario carattere individualizzante.
Sezione Vi, sentenza 5 maggio – 12 giugno 2009 n. 24469 – Pres. Di Virginio; Rel. Ippolito; Pm (diff.) Delehaye; Ric. Bono e altro

 

Associazione di tipo mafioso – Condotte materiali – Partecipe – Nozione – Dimostrazione. (C.p., articolo 416-bis)
in tema di associazione di tipo mafioso, assume il ruolo «partecipe» colui che, risultando inserito stabilmente e organicamente nella struttura organizzativa dell’associazione, non solo «è» ma «fa parte» della (meglio ancora: «prende parte» alla) stessa. A tal fine, sul piano probatorio, rilevano tutti gli indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi la stabile compenetrazione del soggetto nel tessuto organizzativo del sodalizio. Deve trattarsi di indizi gravi e precisi (tra i quali le prassi giurisprudenziali hanno individuato, esemplificando, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di “osservazione” e “prova”, l’affiliazione rituale, l’investitura della qualifica di “uomo d’onore”, la commissione di delitti-scopo, oltre a molteplici, variegati e però significativi facta concludentia) dai quali sia lecito dedurre, senza alcun automatismo probatorio, la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo nonché della duratura, e sempre utilizzabile, «messa a disposizione» della persona per ogni attività del sodalizio criminoso con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo di temporale considerato dall’impugnazione (sezioni Unite, 12 luglio 2005, Mannino).
Sezione Vi, sentenza 5 maggio – 12 giugno 2009 n. 24469 – Pres. Di Virginio; Rel. Ippolito; Pm (diff.) Delehaye; Ric. Bono e altro

CIRCOLAZIONE STRADALE

Guida sotto l’influenza dell’alcool – Accertamento – Alcooltest – Natura giuridica – Atto urgente – Disciplina procedimentale – Facoltà difensive – Mancato avvertimento della facoltà di assistenza da parte del difensore – Nullità a regime intermedio – Deducibilità – Limiti – Fattispecie in tema di giudizio abbreviato. (D.L.vo 30 aprile 1992 n. 285, articolo 186; C.p.p., articoli 178, 179, 182, 354 e 356; disposizioni di attuazione del C.p.p., articolo 114)
In tema di guida in stato di ebbrezza, il cosiddetto alcooltest, eseguito dall’agente accertatore, costituisce atto urgente sullo stato delle persone disciplinato dall’articolo 354 del C.p.p. al quale il difensore può assistere in virtù del successivo articolo 356, senza diritto a essere previamente avvisato del compimento dell’atto. Di questa facoltà la persona sottoposta alle indagini deve essere avvisata (articolo 114 delle disposizioni di attuazione del C.p.p.), ma non è a tal fine prevista la nomina di un difensore di ufficio. Se difetta l’avvertimento si verifica una nullità a regime intermedio, che deve ritenersi sanata se non è dedotta prima del compimento dell’atto oppure, se ciò non è possibile, immediatamente dopo il compimento dell’atto al quale la perte ha partecipato, ai sensi dell’articolo 182, comma 2, del C.p.p., anche mediante lo strumento delle memorie o richieste, senza però attendere il compimento di una successivo atto del procedimento. (Nella specie, la Corte ha ritenuto sanata l’invalidità, in quanto, successivamente al compimento dell’atto, non era stata eccepita la nullità, e ciò anche dopo la nomina del difensore di fiducia; inoltre, con valenza assorbente, la nullità non poteva essere ulteriormente eccepita, giacché il processo si era svolto con il rito abbreviato, la cui richiesta, a norma dell’articolo 183, lettera a), del C.p.p., importa la sanatoria delle nullità relative e a regime intermedie e l’utilizzabilità degli atti affetti da cosiddetta inutilizzabilità fisiologica in deroga all’articolo 526 del C.p.p., dovendosi escludere la sanatoria delle sole nullità assolute di cui all’articolo 179 del C.p.p. e degli atti probatori viziati da inutilizzabilità cosiddetta patologica, in quanto attinenti a prove non ammesse della legge per espresso divieto).
Sezione IV, sentenza 5 marzo – 5 giugno 2009 n. 23605 – Pres. Mocali; Rel. Izzo; Pm (conf.) Cedrangolo; Ric. Bonanno

MISURE CAUTELARI

Misure cautelari personali – Criteri di scelta delle misure – Custodia cautelare in carcere – Presunzione di adeguatezza – Disciplina – Modifica normativa - Ampliamento delle ipotesi – Applicabilità del novum normativo – Fattispecie in tema di violenza sessuale. (C.p.p., articolo 275, comma 3; C.p., articoli 2 e 609 bis)
Il comma 3 dell’articolo 275 del C.p.p., nel prevedere in via generale che la custodia cautelare in carcere va disposta solo quando ogni altra misura risulti inadeguata, ha introdotto per determinanti reati una presunzione di inadeguatezza di altre misure diverse della detenzione intramuraria e di inversione dell’onore della prova in ordine alle esigenze cautelari: nel senso che viene prevista l’obbligatorietà, in presenza di gravi indizi di colpevolezza, della detenzione carceraria, a meno che non risultino acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari. Tale disciplina, estesa a seguito del decreto legge n. 11 del 2009, tra gli altri, al reato di cui all’articolo 609-bis del C.p., è applicabile anche ai fatti commessi in epoca precedente alla sua entrata in vigore e, quindi, anche alle misure cautelari in atto, pur se disposte in precedenza. Da queste premesse, la Corte ha ritenuto che correttamente il tribunale del riesame aveva rigettato l’appello avverso l’ordinanza con cui era stata respinta la richiesta di ripristino degli arresti domiciliari avanzata dall’imputato del reato di violenza sessuale, motivando il rigetto sulla ritenuta applicabilità della nuova disciplina pur trattandosi di fatti risalenti a epoca antecedente la relativa entrata in vigore (si veda sezioni Unite, 27 marzo 1992, Di Marco).
Sezione III, sentenza 20 maggio – 11 giugno 2009 m. 23961 – Pres. De Maio; Rel. Amoresano; Pm (conf.) Passacantando; Ric.Kaddaouri

LAVORO

Infortuni sul lavoro – Normativa antinfortunistica - Ambito di applicazione - «Nolo a caldo» - Responsabilità del noleggiatore – Differenze rispetto all’appalto – Fattispecie. (D.L.vo 9 aprile 2008 n. 81, articolo 26)
In materia di infortuni sul lavoro, nel contratto di «nolo a caldo», caratterizzato del fratto che il locatore mette a disposizione dell’utilizzatore non solo un macchinario (come nel «nolo a freddo»), ma anche un proprio dipendente con una specifica competenza nel suo utilizzo, non si applicano i principi stabiliti della normativa sulla prevenzione degli infortuni in tema di appalto, in forza dei quali sono posti a carico di tutti gli imprenditori coinvolti nel lavoro obblighi di coordinamento della loro attività al fine di organizzare e attuare le misure di prevenzione (ora articolo 26 del D.L.vo 9 aprile 2008 n. 81). Da queste premesse, nella specie, la Corte ha annullato con rinvio la condanna per il reato di lesioni aggravato della violazione della normativa antinfortunistica relativamente alla posizione della titolare dell’impresa che si era limitata a “noleggiare” ad altra impresa un macchinario con l’addetto al suo utilizzo, poi infortunatosi: la Cassazione, da un lato, ha escluso, proprio in ragione delle differenze con l’appalto, che il noleggio implicasse l’assunzione di un obbligo di coordinamento da parte del noleggiatore rispetto all’utilizzo del macchinario nell’azienda dell’utilizzatore, e, comunque, dall’altro lato, ha assorbentemente apprezzato come addirittura l’infortunio non si fosse neppure verificato durante l’utilizzo del mezzo noleggiato, ma mentre il dipendente dell’impresa noleggiante era impiegato a utilizzare altro macchinario di pertinenza dell’impresa di destinazione.
Sezione IV, sentenza 5 marzo – 5 giugno 2009 n. 23604 – Pres. Mocali; Rel. Izzo; Pm (conf.) Cedrangolo; Ric. Cassi e altro

REATI CONTRO LA FEDE PUBBLICA

Falsità in atti – Sentenza di patteggiamento – Dichiarazione dell’accertata falsità atti o documenti – Necessità – Ragioni – Omissione – Conseguenze. ( C.p., articoli 476 e seguenti; C.p.p., articoli 444 e seguenti e 537)
Con la sentenza di applicazione della pena su richiesta, di cui all’articolo 444 del C.p.p., che deve intendersi equiparata a una sentenza di condanna, qualora l’imputazione si riferisca a un’ipotesi di falsità di atti o documenti, il giudice è tenuto a emettere i provvedimenti di cui all’articolo 537 del C.p.p. relativi alla declaratoria di falsità. La Corte ha precisato che , qualora il giudice non vi abbia provveduto, la sentenza va annullata con rinvio, non potendo provvedere direttamente il giudice di legittimità, richiedendosi a tal fine un’apposita motivazione della ritenuta falsità, implicante valutazioni di merito incompatibili con il giudizio di Cassazione ( sezione Unite, 27 ottobre 1999, Fraccari).
Sezione V, sentenza 26 febbraio – 19 maggio 2009 n. 21128 – Pres. Amato; Rel. Oldi; Pm (conf.); Ric. Pg appello Ancona i proc. D’Orazio e altro

REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Omissione di atti d’ufficio – Soggetto attivo – Individuazione. ( C.p., articolo 328, comma 2)
Soggetto attivo del reato di cui all’articolo 328, comma 2, del C.p., che punisce il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, non compiendo un atto di sua competenza, omette anche di rispondere, entro trenta giorni, per esporre le ragioni del ritardo, alla richiesta redatta in forma scritta dal privato, è colui che ha la competenza a compiere l’atto finale richiesto dall’utente e ciò in mancanza di specifica diversa nomina del responsabile del procedimento ex articolo 4 della legge 7 agosto 1990n. 241.
Sezione VI, sentenza 3 aprile – 27 maggio 2009 n.22117 – Pres. Lattanzi; Rel. Ippoloto; Pm(diff) Delehaye; Ric. Milanese

SEQUESTRO PENALE

Misure cautelari reali – Impugnazioni – Valutazioni del giudice dell’impugnazione – Contenuto – Limite. ( C.p.p., articoli 322, 322-bis, 324 e 325)
In tema di misure cautelari reali, la verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare, da parte (prima) del tribunale del riesame e (poi) della Corte di legittimità, non può tradursi in un’anticipata decisione della questione di merito, concernente la responsabilità del soggetto indagato, in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale ipotizzata, mediante una valutazione prioritaria dell’antigiuridicità penale del fatto: ciò in quanto, in tema di misure cautelari reali, è preclusa ogni valutazione riguardo agli indizi di colpevolezza, alla gravità degli stessi e alla colpevolezza dell’indagato, risultando inapplicabile il disposto dell’articolo 273 del C.p.p., relativo all’applicabilità delle misure cautelari personali. Da ciò conseguendo, in altri termini, che al giudice della cautela reale è preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza, alla gravità di essi e alla colpevolezza dell’indagato ( sezioni Unite, 27 marzo 1992, Midolini – 25 marzo 1993, Gifuni; 23 febbraio 2000, Mariano. Più di recente, sezione II, 13 maggio 2008, Sarica).
Sezione VI, sentenza 5-19 maggio 2009 n. 20958 – Pres. Di Virginio; Rel. Lanza; Pm (conf.) Delehaye; Ric. Mirabellla e altri

GIUDICE

Competenza – Competenza per territorio – Competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati – Operatività – Magistrato che rivesta formalmente la qualità di imputato, di persona offesa o di danneggiato del reato – Necessità – Conseguenze – Fattispecie. (C.p.p., articolo 11)
In tema di competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati, l’operatività dell’articolo 11 del C.p.p. è subordinata alla condizione che il magistrato, nel procedimento penale, assuma formalmente la qualità di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato, per cui, in difetto di tali qualificazioni formali, manca il presupposto richiesto perché si verifichi la perpetuatio iurisdicationis del giudice cui gli atti siano stati trasmessi per competenza territoriale funzionale. (Nella specie, quindi l’autorità giudiziaria, che aveva ricevuto ex articolo 11 del C.p.p. gli atti del procedimento penale aperto in ordine al concorso, meramente ipotetico, di un magistrato nei reati di cui agli articoli 326 e 684 del C.p., correttamente li aveva restituiti all’autorità ordinariamente competente per territorio, non essendo emersi elementi di responsabilità a carico di alcun magistrato del distretto).
Sezione VI, sentenza 28 gennaio – 29 maggio 2009 n. 22710 . Pres. e rel . Mannino; Pm (diff.) Iacoviello; Ric. Proc. Rep. Trib. Trento in proc. Selva e altro

REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Peculato – Uso ai fini privati del telefono d’ufficio – Rilevanza penale – Inoffensivisità del fatto – Condizioni – Uso saltuario – Fattispecie. (C.p., articolo 314)
L’uso privato da parte del pubblico dipendente dell’apparecchio telefonico dell’ufficio configura il reato di peculato di cui all’articolo 314, comma 1, del C.p., perché comporta l’appropriazione (non restituibile) delle energie necessarie alla comunicazione, di cui il dipendente ha disponibilità per ragioni di ufficio. In una tale ottica , può ritenersi inoffensiva solo la condotta che si sia sostanziata in una utilizzazione episodica ed economica del telefono, fatta per contingenti e rilevanti esigenze personali. (Nella specie, la Corte ha ritenuto correttamente ravvisato il peculato essendo stato accertato, in sede di merito, un utilizzo del telefono dell’ufficio non per pressanti esigenze di relazione, ma per soddisfare la propria sfera ludica: frequenti contatti, anche internazionali, con appassionati della caccia; e ciò per un importo pari a euro 2.354,39, sicuramente oltre i limiti).
Sezione VI, sentenza 29 aprile – 20 maggio 2009 n. 21165 – Pres. Lattanzi; Rel. Agrò; Pm (conf.) Iacoviello; Ric. Artale.

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