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REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Abuso d’ufficio – Sindaco – Nomina e revoca del dirigente dell’amministrazione comunale – Illegittimità – Reato – Ravvisabilità – Ragione – Fattispecie. (C.p., articolo 323)
Il ruolo del dirigente negli enti locali, quale si desume dalla normativa di settore in tema di nomina e di funzioni (confronta, in particolare, gli articoli 50, 107, 109 e 110 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267), tale da implicare l’esercizio di potestà pubblicistiche e il potere di impegnare l’amministrazione con i soggetti a essa esterni, con conseguente attribuzione della qualifica di pubblico ufficiale rilevante ai sensi dell’articolo 357 del C.p., determina che il conferimento e la revoca del relativo incarico da parte del sindaco costituiscono atti direttamente riferibili alle esigenze organizzative dell’ente pubblico (per effetto finalizzati al perseguimento degli obiettivi essenziali dell’azione dell’amministrazione ne secondo le regole dell’imparzialità e della buona amministrazione espresse dall’articolo 97 della Costituzione), non potendo ridursi ad atti privati discrezionali del sindaco-datore di lavoro. Da ciò consegue che la revoca illegittima del dirigente da parte del sindaco può integrare il reato di abuso d’ufficio, laddove ne ricorrano gli altri presupposti oggettivi e soggettivi. (Nella specie, la Corte ha ritenuto correttamente ravvisato il reato di abuso di ufficio a carico del sindaco che aveva proceduto a revocare il comandante della polizia municipale dall’incarico di dirigere del settore commercio, annona e polizia locale, al di fuori dei casi consentiti dalla legge e senza la formalità ivi previste, in un contesto che aveva portato a ritenere la finalità “ritorsiva” dell’atto di revoca e, quindi, a ritenere dimostrati il dolo internazionale e l’evento di danno richiesti per la configurabilità dell’abuso).
Sezione VI, sentenza 2 aprile-7 maggio 2009 n. 19135 – Pres. de Roberto; Rel. Citterio; Pm (conf) Galati; Ric. Palascino
PROCEDIMENTO PENALE
Riti alternativi al dibattimento – Applicazione della pana su richiesta delle parti – Sentenza di patteggiamento – Applicazione o esclusione della recidiva – Motivazione. (C.p.p., articolo 444; C.p., articoli 69 e 99)
Con la sentenza di “patteggiamento” ex articolo 444 del C.p.p. il giudice, pur nella peculiarità del rito e in maniera coincisa, deve indicare sinteticamente le ragioni per le quali intende o no escludere la recidiva.
Sezione VI, sentenza 5 – 19 maggio 2009 n. 20959 – pres. Di Virginio; Rel. Lanza; Ric. Tavoletta e altro
Riti alternativi al dibattimento – Applicazione della pana su richiesta delle parti – Sentenza di patteggiamento – Esclusione della recidiva – Motivazione. (C.p.p., articolo 444; C.p., articoli 69 e 99)
La sentenza di “patteggiamento” ex articolo 444 del C.p.p. non impone al giudice una specifica motivazione sull’esclusione dell’operatività della recidiva reiterata e del conseguente aumento di pena, anche ex articolo 81, ultimo comma, del C.p., in quanto la ratifica dell’accordo presuppone che egli abbia effettuato il controllo sulla correttezza dell’applicazione e comparazione delle circostanze così come prospettate dalle parti, dovendosi ritenere sufficiente che nella sentenza si dia atto dell’avvenuta verifica.
Sezione VI, sentenza 17 aprile – 19 maggio 2009 n. 20953 – pres. Di Virginio; Rel. Ippolito; Pm (conf.) Izzo. Ric. Proc. gen. App.. Roma in proc. Panetta
LAVORO
Infortuni sul lavoro – Normativa antinfortunistica – Datore di lavoro – Obbligo di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro – Contenuto – Comportamento negligente del lavoratore – Irrilevanza. (D.P.R. 27 aprile 1955 n. 547, articoli 4 e seguenti; C.c. articolo 2087; D.P.R. 9 aprile 2008 n. 81, articolo 18; C.p., articolo 41)
In caso di infortunio sul lavoro originato dall’assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale esclusiva, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all’evento, quando questo sia da ricondursi anche alla mancanza o insufficienza di quelle cautele prevenzionali che, se adottate dal datore di lavoro, sarebbero valse a neutralizzare il rischio di siffatto comportamento. Ciò in quanto la normativa antinfortunistica mira a salvaguardare incolumità del lavoratore non solo dai rischi derivanti da incidenti o fatalità, ma anche da quelli che possono scaturire dalle sue stesse disattenzioni, imprudenze o di ubbidienze alle istruzioni o prassi raccomandate, purché connesse alla svolgimento dell’attività lavorativa.
Sezione IV, sentenza 27 marzo – 6 maggio 2009 n. 18998 – Pres. Morgigni; Rel. Licari; Pm (parz. conf.) Di Popolo; Ric. Trussi e altro
REATO IN GENERE
Circostanze di reato – Circostanze aggravanti – Recidiva reiterata – Facoltatività – Conseguenze in tema di giudizio di comparazione con le attenuanti. (C.p., articoli 69, comma 4, e 99)
In presenza di contestazione della recidiva di cui all’articolo 99, comma 4 del C.p., anche questa rientra nel giudizio di comparazione di cui all’articolo 69 del C.p., ma ciò si verifica – fatti salvi i casi di operatività “Obbligatoria” di cui all’articolo 99, comma 5, del C.p. - “soltanto dopo” che il giudice abbiamo motivatamente ritenuto, con riguardo alla nuova azione costituente reato, la sua idoneità a manifestare una più accentuata colpevolezza e una maggiore capacità a delinquere, in relazione alla natura e ai tempi di commissione dei precedenti, così da giustificare l’aumento di pena. Infatti, la recidiva reiterata di cui all’articolo 99, comma 4, del C.p. rimane “facoltativa” anche dopo le modifiche apportate dalla legge n. 251 del 2005, con la conseguenza che il divieto di prevalenza, nel giudizio di comparazione, delle circostanze attenuanti nel caso di recidiva reiterata di cui all’articolo 99, comma 4, del C.p. opera soltanto se il giudice “in concreto” ritenga di disporre l’aumento di pena per la recidiva.
Sezione VI, sentenza 17 aprile – 19 maggio 2009 n. 20953 – Pres. Di Virginio; Rel. Ippolito; Pm (conf). Izzo; Ric. Proc. gen. App. Roma in proc. Panetta
STUPEFACENTI
Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti – Partecipazione – Acquirente della sostanza stupefacente – Ammissibilità – Limiti. ( D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, articolo 74)
L’ipotesi di partecipazione a una associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti è configurabile anche nei confronti di colui che opera come acquirente stabilmente disponibile a ricevere le sostanze trattate dal sodalizio, ma ciò è possibile a condizione che risulti che la condotta attribuibile all’acquirente faciliti lo svolgimento dell’intera attività criminale e assicuri la concreta realizzazione del programma delittuoso garantendo il conseguimento del profitto. Occorre in altri termini che nella condotta dell’acquirente siano rinvenibili gli estremi, oggettivi e soggettivi, del reato associativo, e cioè che la sua attività sia posta in essere avvalendosi continuativamente delle risorse dell’organizzazione con la coscienza e volontà di far parte e di contribuire al suo mantenimento, non potendosi automaticamente desumere tali caratteri da una serie di operazioni, ancorché frequenti, di compravendita di sostanze stupefacenti tra le stesse persone.
Sezione I, sentenza 17 marzo – 2 aprile 2009 n. 14512 – Pres. Fazzioli; Rel. Di Tomassi; Pm (diff.) Iacoviello; Ric. Salesi e altri.
Fatto di lieve entità – Natura giuridica – Circostanza attenuante. (D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, articolo 73, comma 5)
La fattispecie di cui all’articolo 73, comma 5, del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 ha natura di circostanza attenuante, non di reato autonomo, in quanto la norma richiama espressamente elementi (mezzi, le modalità e le circostanze dell’azione, la qualità e la quantità delle sostanze oggetto della finalità di spaccio) che, pur integrando la lieve entità dei fatti, non ne modificano la loro obiettività giuridica.
Sezione VI, sentenza 17 aprile – 19 maggio 2009 n. 20953 – Pres. Di Virginio; Rel. Ippolito; Pm (conf.) Izzo; Ric. Proc. gen. App. Roma in proc. Panetta
Fatto di lieve entità – Natura giuridica – Circostanza attenuante – Effetti – Giudizio di comparazione con la recidiva. (D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, articolo 73, comma 5; C.p., articoli 69 e 99)
Poiché il fatto di lieve entità previsto dall’articolo 73, comma 5, del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 integra una circostanza attenuante, quando questa concorre con la recidiva va operato il giudizio di comparazione previsto dall’articolo 69 del C.p., con conseguenza che in caso di ritenuta equivalenza, la pena è determinata senza tener conto delle circostanze di segno opposto.
Sezione VI, sentenza 17 aprile – 9 maggio 2009 n. 20953 – Pres. Di Virginio; Rel. Ippolito; Pm (conf.) Izzo; Ric. Proc. gen. App. Roma in proc. Panetta
PARTE CIVILE
Impugnazione della parte civile – Sentenza di assoluzione o di proscioglimento – Appello – Ammissibilità – Contenuto – Effetti. (C.p.p., articolo 576)
Anche dopo le modifiche introdotte all’articolo 576 del C.p.p. dall’articolo 6 della legge 20 febbraio 2006 n. 46, la parte civile ha facoltà di proporre appello, agli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento o di assoluzione pronunciata nel giudizio di primo grado (sezioni Unite, 29 marzo 2007, parte civile in proc. Lista).
Sezione IV, sentenza 25 marzo – 24 aprile 2009 n. 17637; Pres. Campanato; Rel. Brusco; Pm (conf.) Gialanella; Ric. Parte civile Aspra e altro in proc. Laganà.
REATI CONTRO L'AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA
Favoreggiamento personale – Ambito di applicabilità – Reato permanente – Esclusione – Applicazione in tema di detenzione illecita di sostanze stupefacenti. (C.p., articolo 378; D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, articolo 73)
Il reato di favoreggiamento non è configurabile, con riferimento al reato di detenzione illecita di sostanza stupefacente, in costanza di detta detenzione, atteso che nei reati permanenti qualunque agevolazione del colpevole, prima che la condotta di questi sia cessata, si risolve inevitabilmente in concorso, quantomeno a carattere morale.
Sezione VI, sentenza 7 – 29 aprile 2009 n. 17889; Pres. de Roberto; Rel. Rotundo; Pm (conf.) Selvaggi; Ric. Spinelli.
REATI CONTRO IL PATRIMONIO
Ricettazione – Condotta materiale – Acquisto – Consumazione – Consenso – Rilevanza – Consegna materiale della cosa – Irrilevanza – Fattispecie. (C.p., articolo 648)
Il reato di ricettazione, nella ipotesi di “acquisto”, si consuma nel momento dell’accordo fra cedente e acquirente sulla cosa proveniente da delitto e sul prezzo, non occorre, invece, per il perfezionamento del reato, la consegna della cosa (da queste premesse, in una fattispecie in cui all’imputato era stato contestato di avere introdotto nello Stato degli orologi con marchi falsi, la Corte ha ritenuto corretta la decisione del procuratore generale, che, nel dichiarare non doversi procedere nei confronti del prevenuto in ordine al reato di cui all’articolo 474 del C.p., perché estinto per prescrizione, lo aveva condannato per il reato di ricettazione consumata, così riqualificando l’originaria contestazione di tentata ricettazione; con il ricorso, all’evidenza, la difesa aveva invocato l’applicabilità della fattispecie tentata, sul rilievo che l’imputato non aveva ancora materialmente conseguito il possesso degli orologi).
Sezione II, sentenza 15 – 27 aprile 2009 n. 17821; Pres. Carmenini; Rel. Macchia; Pm (conf.) Monetti; Ric. Feng
REATO IN GENERE
Circostanze di reato – Circostanze aggravanti comuni – Motivo futile – Nozione – Gelosia – Inapplicabilità. (C.p., articolo 61, numero 1)
Ai fini della sussistenza dell’aggravante dei futili motivi (articolo 61, numero 1, del C.p.) rileva l’antecedente psichico della condotta, ossia l’impulso che ha indotto il soggetto a delinquere, e a tal fine, il motivo deve qualificarsi futile quando la determinazione delittuosa sia stata causata da uno stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato, rispetto alla gravità del reato, da apparire, per la generalità delle persone, assolutamente insufficiente a provocare l’azione delittuosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell’evento, un pretesto o una scusa per l’agente di dare sfogo al suo impulso criminale. Non rientra in tale nozione la manifestazione di morbosa gelosia, in quanto questa costituisce uno stato passionale, causa frequente di delitti anche gravissimi, ma che per la coscienza collettiva non è tale da costituire una ragione inapprezzabile di pulsioni illecite.
Sezione I, sentenza 8 aprile – 4 maggio 2009 n. 18187; Pres. Chieffi; Rel. Barbarasi; Pm (conf.) Di Casola; Ric. Proc. gen. App. Milano in proc. Same.
REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Peculato – Elemento materiale – Possesso per ragione di ufficio – Nozione – Fattispecie. (C.p., articolo 314)
Ai fini della configurabilità del reato di peculato, il possesso qualificato della ragione di ufficio da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio non deve necessariamente rientrare nel novero delle specifiche competenze o attribuzioni connesse con la sua posizione gerarchica o funzionale, essendo sufficiente che esso sia frutto anche di “occasionale coincidenza” con la funzione esercitata o con il servizio prestato (per l’effetto, la Corte ha ritenuto corretto l’addebito a titolo di peculato in una fattispecie in cui l’imputato, nella sua qualità di impiegato dell’ufficio del Catasto, si era appropriato del denaro corrispostogli dagli utenti per il rilascio di copie di atti catastali e per il pagamento dei diritti erariali, omettendo di rilasciare apposita ricevuta ovvero rilasciando ricevute indicanti importi inferiori a quelli realmente riscossi).
Sezione VI, sentenza 25 marzo – 24 aprile 2009 n. 17531; Pres. Mannino; Rel. Matera; Pm (conf.) D’Angelo; Ri. Intartaglia
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